il manifesto 24.3.18
A sinistra si è perso l’attimo, il futuro è nella Carta
di Gaetano Azzariti
Un
popolo è scomparso. Non un popolo astratto, bensì persone reali, vive e
impegnate. Tutti quegli individui che – per discutere del futuro della
«loro» costituzione – sono uscite dal torpore casalingo, dall’isolamento
televisivo o da quello virtuale dei social.
Cittadini della
Repubblica che hanno riempito le sale, intervenendo in discussioni
pubbliche, con la voglia di comprendere e, infine, si sono schierate.
Non più indifferenti, non solo rabbiosi, ma partecipi di una impresa
collettiva.
Contro le tendenze di estraneazione in atto da tempo,
un popolo è sceso in campo, si è riconosciuto ed ha assunto coscienza di
sé. L’esito del referendum ha, da ultimo, dimostrato la forza della
partecipazione attiva: per i cittadini è ancora possibile concorrere a
determinare la politica nazionale, magari contro la volontà dei partiti
maggioritari, in nome del popolo sovrano, nelle forme e nei limiti della
costituzione.
È stata un’esperienza straordinaria, che è riuscita
a dare nuova vita ai luoghi smorti della politica tradizionale,
riempendo le sedi di partito e dei circoli associativi, affollando come
mai prima le assemblee nei posti di lavoro e nelle università, gremendo
teatri e occupando spazi aperti. Lunghi e appassionati confronti ove –
spenti i cellulari e abbandonati i twits – si sono potute formare
opinioni consapevoli, scuotere coscienze, ribaltare preconcetti e luoghi
comuni.
Se ora si torna sui propri passi, in quei stessi luoghi
si ha l’impressione di una festa finita: qualche manifesto invecchiato
gettato per terra e pochi ostinati militanti che si attardano a
discutere non si sa più bene di che.
Credo che ci si debba
interrogare sulle ragioni della scomparsa dalla scena di queste persone
reali. I giovani curiosi sono tornati su facebook, gli altri
insofferenti dinanzi alle televisioni. Tutti a casa, dove basta un click
per scaricare la propria tensione individuale, ma senza più una
passione comune.
È trascorso solo un anno e il giorno delle
elezioni le forze organizzate della sinistra sono state sconfitte. Hanno
perduto elettori, ma soprattutto se stesse, perché non sono riuscite a
proseguire il dialogo con un popolo che pure era venuto a cercarle. Una
vasta comunità di donne e uomini concreti ha chiesto, ma non le è stato
risposto; ha interrogato una cultura di sinistra (radicale o moderata
che fosse) che era troppo impegnata a litigare, dividersi, accusarsi o
riciclarsi.
A sinistra s’è perso l’attimo, non poteva che finire
così. In questo modo si spiega anche perché a capitalizzare la nostra
battaglia di ragione e di progresso siano stati altri: quelle forze che
hanno combattuto la riforma costituzionale sul fronte dell’illusione
populista. Ora si dovrà comunque ripartire. Più affaticati, ma indomiti,
non fosse altro perché – come ci ricorda Walter Benjamin – le macerie
del presente non possono arrestare il vento del progresso.
Marciare
ancora, ma per andare dove? Con quali obiettivi? Se vogliamo imparare
dalla piccola storia che è alle nostre spalle, la risposta ad entrambe
le domande viene da sé. Andare in quelle case che si sono da poco
richiuse per provare a riprendere il dialogo interrotto sulla «nostra»
costituzione e sulla sua capacità di rappresentare un obiettivo comune
per il quale vale la pena lottare. Cercare di nuovo quelle persone vive e
impegnate con cui ci siamo incontrati e con cui, assieme, abbiamo
sentito il dovere (forse anche il piacere) di uscire per strada nel
momento in cui abbiamo avvertito come una minaccia la manomissione che
si voleva compiere ai danni della costituzione democratica e pluralista.
La
sfida è quella di tornare alla costituzione per provare a cambiare la
vita delle persone, per discutere del bene comune, dei diritti concreti e
dei poteri reali, non più esclusivamente dei propri affari privati, non
più solo di persone, partiti o fazioni, non più solo di sé, bensì anche
degli altri. Immaginare un futuro diverso nel nome della costituzione è
possibile. Le idee non mancano, semmai il problema siamo noi. Le nostre
deboli forze, i nostri smacchi, la nostra paura di metterci in gioco.
Il timore di uscire allo scoperto, per cercare ancora.