il manifesto 23.3.18
Trump firma i dazi anti-Cina. Al via la guerra commerciale
Cina vs Usa. Esentati Unione europea e altri, la Casa bianca vuole rientrare di 60 miliardi di euro
di Simone Pieranni
Dice
Trump che Usa e Cina sono «in mezzo a una lunga contrattazione», ma
intanto un primo atto di guerra commerciale è partito. Ieri il
presidente americano pur riconoscendo la «grande amicizia» con il
presidente cinese Xi Jinping e con la Cina in generale, pur ammettendo
l’importanza di Pechino in merito alla crisi coreana, ha posto un «ma»
che pesa come un macigno.
DOPO AVER DEFINITO «un orrore» il
disavanzo commerciale con la Cina (Washington importa molto più di
quanto esporti in Cina), al termine di un’indagine partita lo scorso
agosto (tramite la sezione 301 dello Us Trade Act, che permette indagini
e l’imposizione dimisure), ieri Trump ha dato il via libera alle
sanzioni contro un migliaio di prodotti cinesi, puniti da dazi che
dovrebbero avere un valore di 60 miliardi di dollari (sugli oltre 300 di
disavanzo commerciale). Ora – in un mese circa – il mondo del business
americano potrà commentare questa decisione che diverrà poi operativa.
LE
SANZIONI vanno a colpire il cuore delle esportazioni tecnologiche
cinesi negli Stati uniti, specie il settore della telefonia mobile;
significa che per Huawei – ad esempio – potrebbero arrivare brutti
segnali dal mercato americano. Insieme agli smartphone saranno colpiti i
prodotti più innovativi, ovvero quanto costituisce lo scheletro di quel
programma, «Made in China 2025», che costituisce uno dei tanti timbri
di Xi Jinping alle attuali ambizioni di Pechino: robotica, aviazione,
tecnologia elettronica e prodotti aerospaziali,
NON È DETTO che
questo basti: potrebbero arrivare altri dazi, benché alcuni ambiti
economici americani abbiano già segnalato il rischio di queste
operazioni. «Non spariamoci a un piede» hanno fatto sapere alcuni
congressmen con riferimento alle possibili ritorsioni: il mondo
dell’agricoltura, per dirne uno, nei giorni scorsi ha fatto sapere di
essere vulnerabile a eventuali ritorsioni cinesi: si tratta di una delle
basi sociali del voto pro Trump alle ultime elezioni. Senza contare le
«vendette» che Pechino può gustarsi contro le aziende americane in casa
propria, attraverso controlli e cavilli burocratici capaci di mettere al
tappeto parecchi business americani.
SECONDO WASHINGTON la
decisione va a riportare «giustizia» laddove il Wto avrebbe mancato di
operare («The Donald» non ha mancato di lanciare una bordata contro
l’istituzione mondiale): secondo i report pervenuti a Trump, la Cina
imporrebbe condizioni di svantaggio per le aziende americane, rendendo
arduo l’ingresso nel mercato cinese e si eserciterebbe da tempo nel
furto della proprietà intellettuale.
«TREMENDOUS», è la parola che
Trump ha usato in tre occasioni, a sottolineare un passo decisivo nelle
relazioni tra i due paesi. La Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, poco
dopo la conferenza ha definito «da bulli» l’atteggiamento degli Usa: un
inizio del confronto niente male. Ma prima di specificare quanto
trapelato da Pechino nelle ore che hanno preceduto la comunicazione di
Trump (alle nostre 17 e 30, quindi di notte in Cina) è bene ricordare i
tanti punti di frizione tra i due paesi; il «carico» commerciale va
infatti a inserirsi in un equilibrio piuttosto fragile nonostante i
tentativi di Trump di dirsi amico di Pechino. In questi giorni tra i due
paesi è in corso una sotterranea battaglia su Taiwan: Xi Jinping aveva
tuonato contro «chi ci vuole dividere», proprio dopo l’approvazione di
un accordo tra Usa e Taiwan volto a incrementare gli incontri
diplomatici.
SI TRATTA DI UN SEGNALE con il quale Washington vuole
disturbare la Cina, fingendo di dimenticare il proprio riconoscimento,
avvenuto nel 1979, di «una sola Cina». In tutta risposta Pechino ha
spedito la sua portaerei nello stretto di Taiwan. E il Global Times –
quotidiano ultranazionalista cinese – senza giri di parole ha
specificato che su Taiwan la Cina «è pronta a combattere». Sulla
questione coreana tutto è ancora appeso, tranne la distanza delle
posizioni proprio tra Xi Jinping e Trump: la Cina vuole che gli Usa
abbandonino il progetto dello scudo antimissile; ipotesi che la Casa
bianca non pare proprio prendere in considerazione. Infine la questione
commerciale, anticipata da mezze parole e divenuta reale – davvero –
solo ieri.
Per capire la distanza concettuale: secondo Pechino «le
guerre commerciali finiscono per non avere mai un vincitore». Per Trump
«le guerre commerciali fanno bene e si possono anche vincere
facilmente».
LA CINA durante questa settimana le ha provate tutte:
prima ha messo in guardia Washington dicendosi pronta a reagire da par
suo (non dimentichiamo che la Cina detiene gran parte del debito
americano), poi ha provato incredibili aperture, proprio alla vigilia
dell’annuncio di Trump: il console generale cinese a New York, Zhang
Qiyue, aveva dichiarato che Pechino allenterà barriere commerciali
all’ingresso di investitori stranieri nel settore finanziario e
uniformerà gli standard per le banche nazionali e straniere:
«Introdurremo molte altre misure quest’anno, e alcune di queste
supereranno le aspettative di aziende e investitori». Non basterà.