il manifesto 21.3.18
Affinità e divergenze tra Putin e Xi Jinping
Russia
e Cina. Questi due modelli, ripiegamenti autoritari dovuti alla fase
mondiale e appoggiati su caratteristiche storiche dei due paesi, non è
detto che possano costituire sempre una sorta di «asse» perché inseriti
in un mondo non più bipolare ma a blocchi costantemente in movimento
di Simone Pieranni
Quasi
in contemporanea, Putin ha vinto le elezioni in Russia e Xi Jinping è
stato confermato alla presidenza della Repubblica popolare cinese.
Due
eventi tra i più telefonati della storia: scontati eppure diversi. Come
differente è il percorso dei due leader, nonostante alcuni punti in
comune. Ma più in generale è importante chiedersi: in che modo la loro
relazione – definita in questi giorni da Xi Jinping «nel momento storico
più alto» – finirà per influenzare il nostro futuro?
I noccioli
della questione infatti sono i seguenti: Putin e Xi Jinping sono due
leader che rappresentano una risposta all’odierna fase del capitalismo
mondiale e vengono spesso rappresentati come parte di uno stesso «asse»:
ma in che modo le due potenze collaboreranno o meno all’interno dello
scacchiere mondiale in rapida evoluzione? Putin si è riconfermato alla
guida della Russia per il probabile ultimo mandato al termine di un
ventennio – intervallato dalla presidenza Medvedev, sua diretta
emanazione – nel quale ha plasmato una nuova immagine internazionale di
Mosca, determinata a riconquistare spazi in aree decisive del pianeta
(come il Medio oriente) ma in un momento problematico dal punto di vista
economico interno, a causa delle oscillazioni del petrolio e di una
diseguaglianza che cresce in continuazione.
Xi Jinping, invece, ha
iniziato il suo secondo mandato dopo aver ereditato un paese dalla
crescita a doppia cifra, parzialmente depotenziata dalla crisi economica
occidentale. Xi, inoltre, è salito al potere da «sconosciuto»: in
tanti, poco prima della sua nomina a numero uno, si chiedevano che
«animale politico» sarebbe stato.
Putin in questi anni dovrà
organizzare la sua successione, concentrandosi, come ha specificato
subito dopo il voto, sulla politica interna: significa che il paese
dovrà concentrarsi sulle proprie sacche di povertà, mentre Putin dovrà
sfogliare la margherita del suo successore (che al momento non si vede).
Xi Jinping dal canto suo ha riportato il partito comunista al centro
della vita politica nazionale (con una campagna anti corruzione nella
cui rete sono finiti sicuramente nemici, ma che ha dato una nuova
immagine positiva di un partito in crisi di fiducia con la popolazione),
ha tolto di mezzo i potenziali successori (qualcuno è stato arrestato,
altri sono stati piazzati in ruoli governativi minori) e se da un lato
sta cercando di controllare il passaggio da un’economia trainata dalle
esportazioni a una spinta dal mercato interno, nel suo immediato futuro
sarà concentrato a porre il paese al «centro del mondo» dal punto di
vista internazionale.
Due percorsi in «fasi» diverse, ma non privi
di somiglianze: seppure – infatti – con sistemi politici differenti
(per quanto conti, in Russia si vota ancora) le due potenze si
assomigliano soprattutto nella gestione interna degli equilibri politici
e perché la loro ritrovata «potenza» ha finito per squagliare quegli
equilibri mondiali scossi dal mondo multipolare. Tanto Xi quanto Putin,
per altro, hanno percorsi comuni all’interno dei propri paesi: di Putin
si conosce il passato nel Kgb, nel cuore di quello che era il potere
nell’Urss; Xi Jinping è un «principino», figlio di un padre della
patria, da sempre avvezzo a frequentare il mondo della politica.
Entrambi sono élite, ma si presentano come «persone del popolo» ed
entrambi hanno rappresentato una risposta a una esigenza: Putin ha
riportato la Russia ai fasti del passato, dopo aver salvato il paese dai
lupi famelici del neoliberismo cui ha aperto la porta Eltsin.
Xi
Jinping ha completato quel percorso che lo vede degno erede tanto di Mao
quanto di Deng: oggi la Cina è forte all’esterno quanto all’interno. E
veniamo alle potenziali fratture: innanzitutto potremmo dire che
rispetto alla Russia Xi Jinping ha «vendicato» Mao. Al di là delle
dichiarazioni di facciata e di chi ritiene pronto e cucinato un nuovo
asse di contrasto al neoliberismo mondiale, come ha sottolineato la
sinologa Alessandra Lavagnino su Agi, Xi è il primo leader cinese «a
trattare con Putin dall’alto in basso» (mentre Mao soffrì moltissimo la
relazione con il «fratello maggiore» russo): ai tempi della guerra in
Ucraina, ad esempio, i due paesi strinsero un accordo trentennale sul
gas, clamorosamente a favore della Cina.
E ancora: la Nuova via
della seta disegnata da Xi e nuovo caposaldo cinese, nonché motivazione
dell’esigenza di avere Xi al comando per parecchi anni ancora, va
proprio a insistere su quello che la Russia considera «casa propria»,
ovvero l’Asia centrale. Per non parlare delle mire cinesi sull’Artico.
Questi
due modelli, dunque, ripiegamenti autoritari dovuti alla fase mondiale e
appoggiati su caratteristiche storiche dei due paesi, non è detto che
possano costituire sempre una sorta di «asse» perché inseriti in un
mondo non più bipolare ma a blocchi costantemente in movimento. Al
momento a Mosca e Pechino conviene spingere sulla retorica della grande
amicizia: in Siria la Cina ha accompagnato la Russia sulle risoluzioni
Onu, così come in Ucraina, ma le visioni del mondo sono completamente
differenti.
La Cina agisce da potenza di un mondo multipolare,
evita lo scontro, preferisce «ferire» con le merci e chiudendo mercati
(lo sanno bene a Bruxelles), Putin ha agito come potenza novecentesca,
entrando in modo diretto all’interno dei conflitti contemporanei (suo
malgrado, si può concedere questo a Mosca). Le due fasi che Putin e Xi
Jinping stanno gestendo, dunque, potrebbero trovare fratture, ora come
ora imprevedibili, proprio a livello internazionale.