il manifesto 16.3.18
L’incognita a 5Stelle, al bivio tra destra e sinistra
Dopo
il voto. Per evitare un possibile sfibramento del sistema politico o i
5Stelle scelgono la via consociativa (con la destra) o confluiscono come
perno in un nuovo centrosinistra
di Michele Prospero
Il voto è la certificazione della crisi della sinistra politica e sociale.
La
catastrofe della sinistra politica segue i guasti accumulati in oltre
vent’anni. La distruzione delle culture politiche di massa, in nome del
partito personale, ha provocato un vuoto paralizzante nella capacità di
trattenere, orientare.
Secondo una visione prevalente, il deficit
della sinistra era quello di avere paura del leader. E quindi la ricetta
vincente consisteva nell’accelerare le procedure verso i riti di
investitura del capo.
Esiste una slavina lunga che coinvolge
Prodi, Veltroni e precipita sino a Renzi che ha scelto la
destrutturazione di antiche cose della sinistra.
Non solo le
sezioni, ma persino i circoli erano sopravvivenze vetuste. Non si tratta
di una semplice modellistica dell’organizzazione.
L’opzione per
le primarie aperte nella corsa verso il partito leggero
presidenzializzato, che eliminava la parola stessa congresso
sciogliendola nei gazebo, sanciva la de-ideologizzazione del soggetto
politico e la sua omologazione alle pratiche di un partito delle cariche
elettive, senza radici identitarie per la rinuncia ad ogni idea di
società da progettare con la grande politica.
La marcia della Lega
nelle antiche regioni dell’insediamento comunista rappresenta la più
rilevante cesura in termini storico-politici avvenuta nel voto di marzo.
La destra ha spiantato le ultime finzioni di un partito erede della
tradizione del civismo del movimento operaio e contadino, e ha mutato
radicalmente la geografia delle culture politiche.
Non esiste più l’Italia rossa, e tutti i simulacri politici che la ricordavano sono stati falcidiati.
Le
conseguenze di questa mutazione genetica dell’Italia di mezzo sono
incalcolabili. Collassa ciò che di residuale restava ancora di una
subcultura che anche come area di cuscinetto garantiva una sorta di
collante nazionale capace di frenare le pulsioni di destra che nel nord
produttivo erano diventate dominanti nella seconda repubblica.
La
differenziazione territoriale tra un centro nord a forte trazione
leghista e un centro sud a trascinamento 5Stelle rappresenta una
incognita nella capacità di persistenza del sistema politico.
Se
la polarizzazione tra destra e M5S è al tempo stesso una frattura tra
gli spazi, e se le proposte economico-sociali alternative (reddito di
cittadinanza o politiche redistributive e flat tax o Stato minimo in
funzione dei produttori) si legano a un antagonismo a fondamento
territoriale è evidente il rischio di sfibramento del sistema.
O
si dà un approdo consociativo alla eruzione determinata dalle urne per
ricucire il sistema (governabilità condivisa tra i due vincitori) o i
Cinque stelle confluiscono, come componente egemonica, in un
schieramento plurale di forze di centro e di sinistra ostili alla
destra: oltre queste evoluzioni sistemiche, si restringono i margini per
aggiustamenti disegnati da una forte spinta di sinistra.
Ma il dato politico della crisi del sistema non può offuscare il volto dell’altro grande malato: il sindacato del conflitto.
Malconcia,
oltre a quella dei simulacri di partito, pare anche l’immagine del
sindacato: non solo non orienta voti alle espressioni politiche
“amiche”, ma palesa una perdita di insediamento e un deficit di cultura
politica che ne dissolve la funzione storica.
Al centro nord
l’operaio atomizzato e senza classe è stato sedotto dal verbo leghista
(con più marcate adesioni però, e anche tra i quadri, verso il simbolo
del M5S) e al centro sud è stato attratto dalle rivendicazioni sociali
del M5S. Solo in questi termini deteriori il sindacato conserva una
parvenza di coesione nazionale.
Si sgretola la connessione tra
classe e politica, e il sindacato privo di rappresentanza appare come
destinatario di una pura delega corporativa.
Ciò segna la crisi
radicale del sindacato, che non riesce più a pensare in termini
politici. Dinanzi alla lunga caduta del partito amico incapace di
interpretare un ruolo nei conflitti della società, al sindacato restava
una inedita opzione strategica, che però non è stata afferrata:
invertire il rapporto gerarchico novecentesco tra partito guida e sua
cinghia sindacale per farsi regista di un nuovo partito del lavoro,
espresso dalle forze organizzate.
La formula della «coalizione
sociale» qualcosa del genere comportava, ma è scomparsa e non ha
lasciato né invenzioni organizzative né precisazioni politiche. Se la
Lega è il tribuno del Nord e il M5S diventa il tribuno del Sud ciò vuol
dire che non solo la politica ma anche il sindacato ha contribuito alla
crisi democratica.
Certi discorsi interrotti, su come innestare
soggetti del pluralismo sociale con la ridotta identitaria che comunque
ha consentito di varcare la soglia di sbarramento, vanno al più presto
riannodati.