il manifesto 16.3.18
30mila in fuga da Afrin, la Turchia affama la città
Siria.
A bordo di pickup e furgoncini intere famiglie scappano dalle bombe che
piovono incessanti da giorni. Erdogan attacca il Parlamento europeo
colpevole di una mozione che chiede lo stop all'operazione contro il
cantone curdo-siriano
di Chiara Cruciati
Trentamila
persone sono fuggite in 48 ore da Afrin. «I bombardamenti e i colpi di
artiglieria non si sono fermati mai», denuncia il portavoce delle unità
di difesa popolare Ypg, Birusk Hasaka: le bombe dell’aviazione turca
piovono senza sosta da giorni sul centro della principale città del
cantone curdo-siriano nel nord-ovest del paese, decine le vittime. Solo
mercoledì, riporta l’agenzia cuda Anf, sono morte 13 persone di cui
sette bambini, ieri tre bambini e due donne.
Secondo il portavoce
della presidenza turca, Ibrahim Kalin, «il controllo di più del 70% di
Afrin è stato assicurato, il cerchio si è completamente chiuso intorno
ai terroristi e prevediamo che il centro della città sarà a breve
ripulito ».
Gli sfollati stanno raggiungendo le zone controllate
dal governo di Damasco, a sud-est di Afrin, nella direttrice per Aleppo.
Fuggono a bordo di furgoncini e pick-up verso la sola via di fuga
possibile da una città ormai quasi priva di acqua e cibo: l’esercito
turco ha tagliato l’acqua da giorni e i prodotti alimentari dal resto di
Rojava non entrano.
Ankara sta prendendo la popolazione per fame,
una comunità che finora ha resistito a due mesi di operazioni aeree e
di offensiva via terra di 20mila miliziani islamisti al soldo del
presidente Erdogan.
Che non fa passare giorno senza lanciare
dichiarazioni di guerra alla regione curdo-siriana, considerata una
minaccia nonostante non abbiano mai rivolto le armi contro il territorio
turco. A far paura è il progetto politico realizzato da Rojava, quel
confederalismo democratico che ha permesso l’autogestione delle comunità
curde, arabe, turkmene e che viene letta da Ankara come il primo passo
di un contagio politico del suo sud-est, curdo.
Da qui la
necessità di ribadire la minaccia: «Abbandonate le vostre speranze – ha
detto ieri Erdogan – Non lasceremo Afrin fino a quando il nostro lavoro
non sarà completato». Il mittente è il Parlamento europeo, sola
istituzione dell’Unione a essersi espressa sul massacro in corso nel
cantone: ieri con 372 voti a favore ha approvato una mozione che chiede
alla Turchia di ritirarsi da Afrin.
«Ehi, Parlamento europeo, che
stai facendo? – ha tuonato il presidente turco, che due giorni fa ha
incassato tre miliardi dalla Commissione Ue per tenersi tre milioni di
profughi siriani – Il Parlamento europeo non può dirci di fare niente.
La tua dichiarazione entra da un orecchio ed esce dall’altro». E cita
proprio quei tre milioni di profughi, facendosi scudo dietro i loro
corpi: dopotutto è ad Afrin che Ankara intende trasferire centinaia di
migliaia di siriani, stravolgendo la demografia della zona e
trasformandola in un feudo turco protetto dagli uomini dell’Esercito
Libero Siriano, opposizione ad Assad.
I rumor su un passaggio di
Afrin al governo di Damasco che circolavano ieri, infatti, sono stati
smentiti dall’ufficio della presidenza che conferma invece l’accordo
raggiunto con gli Stati uniti sull’evacuazione dalla vicina Manbij delle
Ypg/Ypj.