Corriere 16.3.18
L’ultima utopia di Beppe che rispolvera Marx e il mondo senza lavoro
di Pierluigi Battista
Reddito di nascita lontano dalla linea Di Maio
Nel
Palazzo Luigi Di Maio fa il moderato, il perbenista, cita De Gasperi,
mette la tattica politica al primo posto, media, smussa, si intrattiene
con la stampa estera per salvaguardare l’immagine internazionale, cita i
vescovi, indossa sempre la stessa cravatta per dire al mondo che lui
non è uomo di zig zag imprevedibili, cerca le coperture finanziarie per
il reddito di cittadinanza. Nel suo blog tutto nuovo e purificato Beppe
Grillo, lontano dalle pastoie della politica quotidiana, dà invece fondo
al suo utopismo estremo, anzi estremista. Attinge al suo repertorio di
«visionario», come si dice cambiando radicalmente la semantica di un
termine che prima indicava uno squilibrato che aveva le allucinazioni,
le visioni, e invece indica uno che guarda lontano e che ha una visione.
La visione di Beppe Grillo, assicura lui sul suo blog, non è più il
reddito di cittadinanza, che il fondatore dei 5 Stelle tratta oramai
alla stregua di una prosaica riformetta. Ma il reddito di nascita,
l’idea che qualunque essere umano, per il semplice fatto di esistere al
mondo debba essere titolare di un diritto alla retribuzione sganciato da
quel reperto archeologico che secondo Grillo è stato sinora la fonte di
quel reddito: il lavoro.
Basta, sostiene Grillo, il lavoro non è
che va abolito, si è abolito da sé. La maledizione del lavoro ha cessato
di esercitare i suoi effetti malefici. Ora con le stampanti 3D e i
robot, l’umanità può tranquillamente buttare il lavoro nella spazzatura
della storia. Chissà che umanità tutta sbadigli e inettitudine nelle
attività più semplici porterà la visione grillesca di un mondo dove non
servirà lavoro nemmeno per sollevare il peso immane di una tazzina di
caffè da portare alle labbra. Ma è tutta una mitologia lavorista, o
laburista, con i suoi miti della classe operaia, delle fabbriche, dei
campi da coltivare, delle officine fumose, una mitologia che è stata
carne e sangue della sinistra e del movimento operaio per tutto il
secolo scorso che viene meno in questa visione. Oppure potrebbe essere
il contrario. E cioè che la visione grillesca, la sua utopia da blog
tutto nuovo e senza il peso della politica quotidiana, si riallacci a
correnti molto potenti della storia della sinistra. Un’umanità di
sfaccendati senza lavoro? Ma quando faceva sul serio il visionario, lo
stesso Karl Marx, molto prima dell’avvento dei robot e delle stampanti
3D, descriveva il comunismo come un idillio in cui la costrizione del
lavoro sarebbe svanita, e l’umanità, emancipata dal peso
dell’alienazione, si sarebbe dilettata nella coltivazione del tempo
liberato: «Fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a
caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo
pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né
cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico».
Ora, andare a
caccia oramai è ecologicamente scorretto, ed è difficile fare della
pastorizia il centro degli interessi di un giovane iper-connesso del
ventunesimo secolo. Ma la visione di Beppe Grillo, che Di Maio non deve
seguire perché deve rassicurare i mercati internazionali e i vescovi
italiani, riprende alcune suggestioni di una storia che per esempio
difficilmente potrebbero trovare cittadinanza nell’altra variante,
quella leghista e salviniana e nordista, dell’epopea antipolitica del 4
marzo. E del resto sui fogli dell’estrema sinistra degli anni Settanta
campeggiavano titoli, nell’occasione della festa del Primo maggio, in
cui si proclamava stentoreo l’obiettivo: «Contro il lavoro». Nessuno
però aveva osato immaginare un reddito che avrebbe gratificato chiunque
fosse nato. Un’utopia, dice Grillo. Ma si sa che nella storia molto
spesso le utopie paradisiache hanno generato molti inferni totalitari
terreni.