Il Fato 16.3.18
Bentornato Parlamento: adesso mettetelo a lavorare
di Antonio Padellaro
Secondo
un antico detto, da cosa nasce cosa: molto calzante a partire da
venerdì 23 marzo quando la prima seduta del nuovo Parlamento metterà in
moto un meccanismo che potrebbe prendere velocità con esiti
imprevedibili. Soprattutto se, come possibile, Cinque Stelle e Lega
proveranno a trasformare la loro maggioranza numerica in un’intesa
gialloverde ad ampio spettro.
I vertici delle Camere per
cominciare. A Palazzo Madama i 112 senatori del M5S più i 58 della Lega
(170 sul totale di 315), e a Montecitorio i 227 deputati grillini
sommati ai 124 leghisti (351 sul totale di 630) potrebbero, da soli,
spartirsi le due poltrone più importanti. E, a cascata. le presidenze
delle commissioni parlamentari (centri di potere effettivo). A eccezione
di quelle cosiddette di garanzia (Servizi segreti, Rai, Antimafia), per
prassi assegnate alle minoranze che tuttavia si conosceranno dopo la
formazione del governo. Altra questione è se i due vincitori riusciranno
a mettersi d’accordo e su quali nomi. Altra questione ancora riguarda
Matteo Salvini e l’accordo elettorale stipulato con Silvio Berlusconi.
Che ha già fatto sapere che davanti a questo flirt lui a tenere il
moccolo non ci pensa proprio.
Il Parlamento può fare tutto. Come
ha spiegato su queste colonne Paola Zanca, anche in assenza di nuovo
governo operativo (quello dimissionario di Paolo Gentiloni può solo
occuparsi dell’ordinaria amministrazione), una volta insediate per dare
il via alla XVIII legislatura le Camere potranno mettere ai voti
qualsiasi provvedimento. Perfino quella nuova legge elettorale con
premio di maggioranza a cui Luigi Di Maio e Matteo Salvini si mostrano
molto interessati. Un secondo round elettorale in autunno avrebbe
infatti senso solo se indicasse, in una sorta di finalissima tra i
favoriti, la coalizione o il movimento o il partito con i numeri per
governare. C’è di più: volendo Lega e M5S hanno già i seggi necessari
per concordare e approvare a maggioranza qualunque legge. Nell’immediato
(come ha scritto Carlo Cottarelli su La Stampa) non mancano le
convergenze per ridurre burocrazia e corruzione, fermare l’immigrazione
irregolare, abolire la legge Fornero, tagliare gli sprechi e (tanto per
cominciare) abolire i vitalizi dei parlamentari. Mentre per trovare un
punto d’equilibrio tra l’impegnativo proposito leghista di non
rispettare le regole fiscali europee (il mitico tetto del 3 per cento
nel rapporto deficit-Pil) e le più vaghe ipotesi pentastellate sul
deficit “flessibile”, occorrerebbe più tempo. In attesa che da cosa
nasca cosa. E un governo Lega-M5S? Oggi appare complicato assai. Visto
però che ci siamo fatti prendere la mano dai proverbi: mai dire mai.
Tutto
il potere al Parlamento? Dopo i governi forti, i partiti padronali, gli
uomini soli al comando e tutti gli altri espedienti per limitare e
mortificare il potere legislativo in un ruolo puramente servile al
potere esecutivo, l’Italia Repubblica parlamentare, “torna a esserlo
pienamente dopo vent’anni di maggioritario” (Marco Palombi). Pensateci
bene, la tempesta perfetta scaturita dal voto del 4 marzo ha lasciato in
superficie oltre ai relitti di Pd e Forza Italia lo sfasciume di
inciuci e nazareni vari. Ma, soprattutto, nell’assenza – che potrebbe
protrarsi a lungo – di un governo sostenuto da una maggioranza organica e
nel pieno delle funzioni ha restituito al Parlamento la famosa
centralità, cuore di ogni democrazia rappresentativa. Forse non sarà il
caso di evocare la Sala della Pallacorda e il Terzo Stato (anche se
numerosi consensi a Cinque Stelle e Lega provengono dagli “ultimi” e dai
“penultimi” nella scala sociale). Non sfugga però che del 23 marzo in
poi la sovranità delle Camere potrà esprimersi in tutta la sua pienezza.
Come non avveniva da tempo.
A meno che. Certo, non è affatto
detto che il Pd (ancora renziano) e che Forza Italia (ancora
berlusconiana) si facciano espropriare così facilmente di un potere
radicato di interdizione e “ricatto” politico. Entrambi temono come la
peste il ritorno alle urne prima di aver rimesso a posto i cocci della
dolorosa sconfitta. Ciò potrebbe convincere il Pd a trattare la
possibilità di dare il via a un governo M5S, di cui non farebbe parte
(ipotesi Cacciari). Per poi tenerlo sulla graticola, dimostrarne
l’inconsistenza e nel mentre riorganizzarsi. Diverso il problema di
Berlusconi, che ha ben compreso il disegno salviniano di sottrargli
gradualmente pezzi del partito. Non inganni il disarmo elettorale
dell’ex Cavaliere: il suo potere economico, e soprattutto mediatico,
resta intatto e potrebbe incattivirsi. Il “tradimento” di Salvini
avrebbe delle conseguenze. In fondo Gianfranco Fini fu triturato per
molto meno. Da cosa nasce cosa.