venerdì 16 marzo 2018

Il Fatto 16.3.18
Da B. fino a Franceschini: cresce il partito del non-voto
La strategia dei “perdenti” per non riaprire le urne (e scomparire del tutto). Ecco chi tifa per un governo a tutti i costi
di Luca De Carolis e Wanda Marra


Il M5S che è arrivato primo prepara il “suo” Def e proposte di programma. E pensa a nuovi ministri tecnici, più noti e trasversali. Ma la vera arma di Luigi Di Maio per arrivare al governo è la paura degli altri: quella di tornare al voto, a breve. Un timore diffuso. Così forte da far dire a Silvio Berlusconi che “piuttosto che tornare a votare, meglio cercare un accordo anche con i 5Stelle, come può fare Matteo”. E Matteo è ovviamente Salvini, a cui nel vertice di mercoledì del centrodestra Berlusconi ha dato il via libera per trattare con il M5S. E non solo sulle presidenze delle Camere: ma anche su un appoggio a un loro governo, se servisse. “Se andassimo a un nuovo voto a breve, i 5Stelle farebbero il pieno”, ha scandito Berlusconi di fronte al leader della Lega e alla presidente di Fratelli d’Italia, una corrucciata Giorgia Meloni.
Il Caimano sa che Forza Italia può solo indebolirsi da qui in avanti. Quindi meglio tenersi aperta ogni strada: compresa quella verso un governo del M5S assieme alla Lega, con FI (o parte di essa) a rinforzo. Una mossa che Berlusconi motiverebbe con il “senso di responsabilità” e tutto il corollario retorico del caso. E già Libero ieri aveva titolato sul “Silvio che strizza l’occhio a Di Maio”, prendendosi la smentita dell’interessato: “Io ai 5Stelle apro la porta per cacciarli”. Poi però nel pomeriggio Salvini ha rilanciato: “Berlusconi chiude al M5S? Non mi sembra, stiamo ragionando di programmi”.
Nel frattempo a Roma i capigruppo del Movimento, Giulia Grillo e Danilo Toninelli, hanno iniziato gli incontri con i partiti sulle presidenze delle Camere. E in fila hanno visto Pietro Grasso per LeU, Maurizio Martina e Lorenzo Guerini per il Pd, Renato Brunetta per Forza Italia e il leghista Giancarlo Giorgetti. “Incontri interlocutori, non si è parlato di nomi”, giurano dai vari fronti. I due capigruppo grillini rivendicano: “Abbiamo ribadito a tutti di voler slegare le nomine dalla questione del governo, e abbiamo registrato l’apertura sia del Pd che della Lega sul metodo”. Il M5S, come già chiarito mercoledì da Di Maio, pretende la presidenza di Montecitorio. E la prima scelta è un fedelissimo del candidato premier, Riccardo Fraccaro: ex segretario dell’ufficio di presidenza, tra i più attivi per l’abolizione dei vitalizi, non a caso citati mercoledì da Di Maio. Mentre per il Senato punta a due vicepresidenti (Paola Taverna e forse Vito Crimi). Nell’attesa Ettore Rosato del Pd assicura: “Se ci saranno candidature convincenti, le voteremo”. La delegazione dem, composta da Martina e Guerini, per adesso, si è limitata a chiedere “figure autorevoli”. E si è preoccupata di garantirsi il “minimo sindacale”: ovvero una vice presidenza del Senato, una della Camera e un Questore in ognuno dei due rami del Parlamento.
Il Pd è tramortito e frammentato, ma anche consapevole che con il ritorno al voto rischia di essere spianato definitivamente. E anche se la risposta standard ufficiale è “siamo alla finestra, non tocca a noi”, le trattative verso un governo vanno avanti. C’è tutto un fronte che guarda ai Cinque Stelle. Prima di tutto, Dario Franceschini: sarebbe il protagonista della trattativa. Tra i motivi per cui Renzi il giorno dopo le elezioni aveva dichiarato di voler “congelare” le dimissioni a dopo la formazione del governo, ci sarebbe stata proprio la volontà di fermare il ministro della Cultura, che stava lavorando a un accordo che lo doveva portare alla presidenza di Montecitorio.
Se Michele Emiliano si è esposto esplicitamente, sono in molti – a partire dagli orlandiani – che aspettano un segnale da Di Maio. “Il Pd sta aspettando un’iniziativa politica. Bersani mise in campo gli 8 punti nel 2013. Facessero qualcosa del genere, ci permettessero di cambiare posizione. Certo, la cosa non può partire da noi”, ragionano nel Pd. I gruppi parlamentari dem sono divisi, con i renziani che, almeno sulla carta, sarebbero pronti a “impallinare” qualsiasi tentativo del genere. L’ex segretario non ha nascosto il suo tifo per un accordo Di Maio- Salvini, che servirebbe a depotenziarli e a “smascherarli”, nella sua ottica, ma comincia a temere un governo breve, per fare una legge elettorale a loro favorevole.
E se Martina in realtà lavora in tandem con Franceschini, in maniera parallela entrano in campo anche le altre componenti, a partire da Luca Lotti. Difficile per gli interlocutori capire se qualcuno possa garantire per il Pd. E dunque, per dividere Di Maio da Salvini, i dem potrebbero decidere di usare i loro parlamentari per far eleggere il leghista Giorgetti alla Camera e Paolo Romani in Senato (il candidato più quotato in assoluto). Sullo sfondo resta il governo di scopo, l’esecutivo di tutti, l’approdo meno sgradito.