il manifesto 15.3.18
Stephen Hawking
Il signore delle stelle sulle orme visionarie di Einstein
Scompare
all’età di 76, l’astrofisico che ha dedicato le sue ricerche ai buchi
neri e agli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo. Autoironico,
colpito dalla sla all’età di 21 anni, visionario. Nato lo stesso giorno
di Galileo e morto in quello del padre della relatività, le sue teorie
sono state spinte al limite
di Andrea Capocci
La
morte del fisico Stephen W. Hawking ha avuto una risonanza mediatica
straordinaria. La sua eccezionale vicenda umana ha raggiunto un pubblico
molto più ampio della comunità accademica. Pochi, tuttavia, conoscono
il contributo scientifico dello scienziato inglese.
Hawking, nato
il giorno del compleanno di Galileo e morto in coincidenza di quello di
Einstein, ha compiuto ricerche di eccezionale valore nel loro stesso
settore: lo studio degli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo.
Mentre per Galileo il tempo era assoluto e indipendente dalle forze,
secondo la teoria di Einstein la gravità deforma sia lo spazio che il
tempo.
LE IMPLICAZIONI, osservabili solo su scala astronomica o
negli acceleratori di particelle, sono notevoli: per esempio, la gravità
delle stelle devia la luce dalla traiettoria rettilinea. Hawking si è
dedicato allo studio di condizioni ancora più estreme, in cui le teorie
di Einstein sono spinte al limite. Cosa succede, infatti, quando una
stella collassa su se stessa e, secondo le equazioni di Einstein, curva
lo spazio-tempo al punto da risucchiare anche la luce? In queste
condizioni, dette «singolarità», la teoria della relatività potrebbe non
bastare. Fino agli anni ‘60 sembrava solo una possibilità teorica. Per
fortuna di Hawking, tutto è cambiato con la scoperta delle stelle di
neutroni ad altissima densità e, più recentemente, degli stessi buchi
neri, rivelati indirettamente dall’attrazione esercitata sulle stelle
circostanti. Confrontando le osservazioni astrofisiche con le previsioni
teoriche, si poteva verificare la teoria della relatività di Einstein
e, eventualmente, superarla.
Hawking, poco più che ventenne, è
stato uno dei pionieri di questo campo di ricerca e oggi dobbiamo a lui
molte previsioni sui buchi neri. Per esempio, nel 1974 Hawking teorizzò
che sul limite esterno di un buco nero dovesse emettere una radiazione
di origine quantistica che oggi prende il suo nome. Infatti, secondo il
principio di indeterminazione di Heisenberg nemmeno nel vuoto l’energia
vale esattamente zero, e piccole quantità di energia nascono e muoiono
continuamente. Perciò, il vuoto cosmico in realtà è pieno di coppie di
particelle dalla vita brevissima. Secondo Hawking, il buco nero dovrebbe
risucchiare una particella di ogni coppia e l’altra potrebbe essere
rilevata dagli astronomi, rendendo il buco nero un po’ meno «nero».
Secondo i calcoli, la radiazione di Hawking è troppo debole per essere
misurata. Se però nel Big Bang furono creati molti buchi neri di piccole
dimensioni, come ipotizzava lui, la somma delle radiazioni potrebbe
aver generato un segnale osservabile. Purtroppo, i dati non hanno
confermato questa ipotesi.
NEGLI ANNI ‘70, Hawking riuscì a
stimare altre caratteristiche fisiche dei buchi neri, come la
temperatura e l’entropia. Sulle sue teorie ha spesso cambiato idea,
stimolato dai colleghi con cui scommetteva volentieri. La scoperta del
bosone di Higgs gli costò cento dollari, ma lì giocava in trasferta
perché non era il suo settore. Anche sui buchi neri si ricredette.
Inizialmente, la sua teoria generava paradossi inconciliabili con la
meccanica quantistica. Un buco nero avrebbe cancellato ogni informazione
su un oggetto risucchiato mentre, secondo la teoria quantistica,
l’informazione non si crea né si distrugge – come l’energia. Nel 2004,
lo stesso Hawking ammise di aver torto: quella volta aveva scommesso
un’enciclopedia, «da cui ogni informazione si può sempre recuperare».
Hawking
sapeva fare lo spiritoso e amava i paradossi. Per dimostrare che i
viaggi nel tempo non sono possibili, nel 2009 organizzò una grande festa
a Cambridge, a cui erano tutti invitati. Ma spedì gli inviti solo
all’indomani della festa, in modo che i partecipanti dovessero viaggiare
all’indietro nel tempo. «Ho aspettato a lungo, ma non è venuto
nessuno». Aveva ragione lui.
Grazie a lui, oggi i buchi neri e il
Big Bang sono oggetti meno misteriosi e rappresentano dei laboratori
naturali per mettere alla prova le nuove teorie. Da queste ricerche
potrebbe nascere una teoria quantistica della gravità a cui lo stesso
Hawking si è dedicato negli ultimi anni della carriera. Le sue ultime
pubblicazioni scientifiche in materia sono datate 2017. È un’età in cui
molti scienziati in ottima salute si godono i nipotini. Hawking invece
non ha mai smesso di assistere allievi, tenere conferenze e girare il
mondo, malgrado le limitazioni fisiche. Per la sua fama, è diventato un
commentatore molto (troppo?) ascoltato sulle tematiche più diverse.
L’ULTIMA
SUA PASSIONE riguardava il futuro dell’umanità, assediata da mutamento
climatico, robotizzazione e sovrappopolazione. La sua fiducia nella
tecnologia talvolta sfociava nel tecno-utopismo, come quando promuoveva
la colonizzazione di nuovi pianeti per salvare il genere Homo o
decretava la fine della filosofia superata dalle scoperte della fisica.
Però invitava alla cautela nei confronti dell’intelligenza artificiale e
richiamava alla necessità politica di coniugare innovazione e progresso
sociale, difendendo i diritti sociali a sanità e istruzione.
Nonostante
gli onori, o forse proprio a causa loro, la figura di Hawking ha
generato anche una schiera di detrattori. Qualcuno, nei corridoi dei
laboratori, ritiene la sua fama sproporzionata rispetto al contributo
scientifico. Il suo nome non compare quasi mai nelle liste dei «grandi»
della fisica, soprattutto se a stilarle sono gli scienziati. D’altronde,
le sue ricerche hanno generato congetture brillantissime e
matematicamente complesse, ma ancora prive di conferme sperimentali. Per
questo motivo Hawking non è mai andato vicino a vincere un premio
Nobel. Nemmeno Einstein fu premiato per la teoria della relatività
generale, che aveva il difetto di essere «solo una teoria». Ma la
scoperta delle onde gravitazionali, che ha vinto il Nobel cento anni
dopo, gli ha reso infine giustizia. Per giudicare Hawking, dunque,
risentiamoci un po’ più in là.