il manifesto 13.3.18
Il «reddito di cittadinanza» che mette al lavoro i precari
di Roberto Ciccarelli
Politiche
del lavoro. Pasquale Tridico, indicato a ministro del lavoro in pectore
per il Movimento 5 Stelle, definisce il “reddito di cittadinanza” «un
reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento
lavorativo». Nel pacchetto programmatico è stato inserito il salario
minimo orario per chi è fuori dalla contrattazione e la riduzione
dell’orario di lavoro a parità di salario. Previsti investimenti statali
in «settori «ad alto ritorno occupazionale», il 34% dei quali da
destinare al Mezzogiorno. E un «patto di produttività tra lavoratori,
governo e imprese». Secondo M5S la nuova politica servirà a aumentare il
tasso di partecipazione della forza lavoro e a risolvere il conflitto
con l'Ue sulla crescita potenziale
A nove giorni dalle
elezioni del 4 marzo, dove il movimento 5 Stelle ha totalizzato il 32%
dei consensi, è giunto il momento di chiamare le cose con il loro nome.
Pasquale Tridico, indicato da Luigi Di Maio a ministro del lavoro in
pectore del suo «governo», ha di nuovo sottolineato come l’ormai famoso
«reddito di cittadinanza» in realtà non è un reddito di cittadinanza ma,
tecnicamente, «un reddito minimo condizionato alla formazione e al
reinserimento lavorativo». Dopo anni di equivoci prodotti dai Cinque
Stelle- l’uso del concetto di «reddito di cittadinanza» (erogazione di
un reddito a tutti i cittadini a vita) per indicare il suo opposto (un
reddito condizionato all’obbligo di un lavoro) – è difficile modificare
il senso comune strutturato dalla propaganda avversaria. E perché, a
destra e a sinistra tutti sembrano essere convinti che questo «reddito»
sia il sinonimo di «assistenzialismo», ovvero un sussidio per
meridionali lazzaroni e fannulloni. Non è vero: riguarderà tutti dalle
Alpi alla Sicilia in una chiave che in pochi oggi immaginano: questo è
il governo dei lavoratori poveri, non la loro liberazione dal bisogno.
NEL
PACCHETTO è stato inserito il salario minimo orario per chi è fuori
dalla contrattazione, la proposta che ricorda la passata rivendicazione
della sinistra sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
«in modo da aumentare l’occupazione e di incentivare la
riorganizzazione produttiva delle imprese». Previsti investimenti
statali in «settori «ad alto ritorno occupazionale», il 34% dei quali da
destinare al Mezzogiorno. «Senza, il reddito di cittadinanza sarebbe
una misura monca». Infine un riferimento alla politica di concertazione
alla tedesca: previsto un «patto di produttività tra lavoratori, governo
e imprese». L’obiettivo è «rilanciare salari, produttività e
investimenti».
IL CUORE DI QUESTA POLITICA è la creazione di un
sistema di «attivazione» di precari e disoccupati. Il «reddito minimo
condizionato» è l’applicazione del «workfare» nel film «Io, Daniel
Blake» di Ken Loach. Quello che dagli anni Novanta con la malintesa
«flexsecurity» del «pacchetto Treu», fino al Jobs Act del 2015 avrebbero
voluto realizzare, senza ancora riuscirci, con l’istituzione
dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive (Anpal). I Cinque Stelle
intendono ripartire da qui per costruire un sistema già operativo in
Inghilterra o in Germania («Hartz IV»). Non è detto che ci riusciranno,
anche per il livello di fuoco raggiunto dagli avversari e per le
difficoltà di fare un governo.
NEL POST SCRITTO sul «blog delle
stelle» Tridico ha dato seguito alle riflessioni già rese note in
settimana, arricchendo il menu di nuove portate: il riconoscimento di un
«reddito minimo» prevede la disponibilità del soggetto a non rifiutare
tre offerte di lavoro in cambio di un sussidio pari a 780 euro al mese
(9.360 euro all’anno, costo: 17 miliardi all’anno). Una cifra calcolata
sul 60% del reddito mediano netto in Italia, destinata a decrescere in
un ristretto periodo di tempo. Tale disponibilità serve a creare una
bolla occupazionale costituita da un milione di persone «inattive» e
«scoraggiate». Saranno conteggiate dalle statistiche perché spinte alla
ricerca di un lavoro attraverso l’iscrizione ai centri per l’impiego
(finanziati con 2,1 miliardi di euro). «Andranno così ad aumentare il
tasso di partecipazione della forza lavoro» secondo la regola della
«mobilitazione totale» dei lavoratori stabilita dal giurista Alain
Supiot per descrive le politiche attive neo-liberali. Non solo i precari
produrranno valore per i fini del governo di turno ma permetteranno di
rivedere «al rialzo l’output gap, cioè la distanza tra il Pil potenziale
e quello effettivo». Grazie al lavoro dei precari che cercano lavoro,si
intende risolvere la divergenza sul calcolo della crescita che ha
contrapposto il ministro dell’economia Padoan alla Commissione Ue. Il
plusvalore prodotto da questo lavoro potrebbe allontanare la manovra
«extra» da 3 miliardi e più di cui si parla da mesi. Un lavoro per cui
sarebbero pagati il minimo facendo ottenere un risultato al governo di
turno. Resta un’ ipotesi di scuola che non rientra nei tempi attuali
della politica economica e dovrà comunque passare l’esame di Bruxelles.
NELL’
INCOMPRENSIONE del contenuto di politiche complesse del lavoro, va
ricordato che esiste un’alternativa a questo «reddito minimo». Il
«reddito di base» incondizionato, cioè sganciato dall’obbligo del
lavoro. Per evitare di lavorare? No, per rifiutare i ricatti, non
lavorare al servizio del rigore della tecnocrazia Ue, rispettare
l’autonomia delle persone, per la liberazione, non il controllo e la
messa al lavoro della povertà per il bilancio dello Stato.
Per approfondire
Non è mai troppo tardi per un reddito di base
Ecco
come il “reddito di cittadinanza” è diventato l’argomento del momento.
Nel racconto mainstream è giudicato come una politica assistenziale che
spinge al lazzaronismo (magari dei meridionali). Un ‘indagine sulle
forme esistenti, anche in Italia, dimostra invece che le varianti del
“reddito” sono usate per aumentare la produttività e l’occupabilità
delle persone. Questo è lo scopo anche del Movimento 5 Stelle. Dobbiamo
rassegnarci a un nuovo sfruttamento? No, perché il “reddito di base” –
la formula originaria di reddito – è una remunerazione della produzione
che facciamo ogni giorno: sulle piattaforme digitali, ad esempio. O nel
lavoro gratuito che ci costringono a fare. Ecco perché il movimento
femminista rivendica oggi il “reddito di autodeterminazione”. La storia.
Perché la sinistra non ha capito nulla del “reddito di cittadinanza”
La
“sinistra”, convinta “lavorista”, non ha compreso nulla della proposta
di “reddito di cittadinanza” che sta facendo le fortune politiche del
Movimento Cinque Stelle, né immagina le conseguenze di un sistema che
rischia di creare un regime del lavoro coatto. Non è affatto
“assistenzialismo”. Nella formulazione attuale è un’intensificazione
delle politiche attive neoliberali. La storia di una progressiva, e
inesorabile espulsione dalla nuova composizione sociale del paese. Il 4
marzo lo ha dimostrato in maniera clamorosa: oggi il reddito è terreno
di battaglia politica. L’analisi
Reddito di cittadinanza, un termine trafugato dal Movimento Cinque Stelle (Marco Bascetta)
Oggi
designa un sussidio in tutto e per tutto simile a quelli previsti nella
logica della “lotta alla povertà” che si propongono di piegare, in un
modo o nell’altro, comunque eterodiretto, i percettori temporanei del
reddito alla disciplina di un lavoro purchessia. In realtà questo
reddito non è rivolto all’indigenza degli “esclusi”, ma alla povertà
attiva strutturalmente inclusa nel modo di produzione capitalistico
contemporaneo