il manifesto 13.3.18
La ruota bucata di Renzi
di Norma Rangeri
Forse
il paragone è improprio, ma immaginiamo se un leader del fu Pci, di
fronte a una sconfitta storica come quella sancita da queste elezioni
(rispetto alle europee del 2014 all’appello del Pd mancano sei milioni
di voti), avesse commentato come ha fatto ieri Renzi dicendo «la ruota
gira». Appunto, non è immaginabile. Specialmente se la ruota è bucata.
E
tuttavia il paragone con la classe dirigente del Pci non è poi così
peregrino perché ad accostare Pci e Pd ci hanno pensato in questi giorni
anche gli istituti di sondaggio nell’analizzare il travaso di voti, nel
raccontare il grande esodo provocato dagli anni della segreteria
renziana. Il 35% di chi nel 1987 (quando i governi duravano anche 100
giorni, ai tempi di Fanfani e di Goria) votava Pci, oggi ha votato
5Stelle. E quelli che, sempre in quell’anno, votavano Dc, oggi si sono
invece rivolti a Forza Italia per il 29% (lo ricorda la Swg).
Renzi
lascia la segreteria e un partito stremato ma non abbandona l’idea di
essere ancora lui la carta vincente, di essere colui che possiede la
giusta linea e, proprio per questo, punta tutta la posta che ha davanti
sull’ingovernabilità, sull’impossibilità di formare una maggioranza tra
pentastellati e centrodestra, un esito in qualche modo precostituito,
con una legge elettorale dell’ultimo minuto, il Rosatellum, votata da
lega e Forza italia per far fuori dai giochi il M5Stelle.
Purtroppo il diavolo non ha pensato al coperchio e la sconfitta del Pd ha rovesciato la pentola.
Come
un criceto nella ruota, Renzi se la prende un po’ con tutti, dentro e
fuori il partito. Ce l’ha con quei candidati che non hanno neanche
proposto il voto sul simbolo del Pd «ma solo sulle loro persone» (leggi
Gentiloni).
Continua ad accusare il partito di aver perso tempo e energie con gli scissionisti.
Non
gli va proprio giù che la meravigliosa idea della riforma
costituzionale sia stata rispedita al mittente da una valanga di No.
E
ripete la storia della panacea delle elezioni anticipate negate perché
il presidente Mattarella non ha concesso l’interruzione della
legislatura dopo la batosta referendaria.
Come è evidente si
tratta di armi ormai spuntate, del resto non potrebbe essere
diversamente, la botta micidiale subita da chi si era messo da solo il
cappello del grande leader europeo, può annebbiare la vista. Così Renzi
chiama tutto il partito all’opposizione perché, dice, con i 5Stelle non
ci può essere accordo su nulla.
Ma quando elenca i punti salienti
su cui giocarsi la rivincita cita “i valori” (forse immaginando
l’uguaglianza declinata da Marchionne), “la democrazia interna” (magari
testimoniata dall’uomo solo al comando), i vaccini (praticamente
Lorenzin santa subito), l’Europa (ovvero i salti mortali di Padoan per
coprire i bonus e il pugno di Minniti contro i migranti).
Ma
bisogna essere fiduciosi perché il «futuro prima o poi torna», riflette
l’ex segretario, e procedendo verso questo sol dell’avvenire non si fa
neppure scrupolo di chiamare in causa un ragazzo malato di Sla che lo
esorta ad andare avanti e a ritirare le dimissioni.
Il senatore di
Firenze lo vuole rassicurare «io non mollo». Vista la situazione
drammatica, più che una promessa sembra una minaccia.