martedì 13 marzo 2018

Il Fatto 13.3.18
Renzi sovraesposto: una foto malfatta
di Giandomenico Crapis


Prima ancora di chiedersi cosa ne sarà di Renzi e del Partito democratico giunto al suo minimo storico, c’è un nodo da sciogliere, grande quanto la bersaniana vacca nel corridoio: cioè di come la potente macchina da guerra comunicativa costruita dal giovane leader del Pd, superiore per pervasività forse anche a quella approntata in passato dallo stesso Berlusconi, sia risultata non solo inefficace nel creare consenso, ma abbia addirittura prodotto un risultato così drammatico.
Il fatto, da studiare nelle università come un vero caso di scuola, sarà capire cosa sia successo per determinare un simile tracollo, dopo anni di esposizione mediatica senza precedenti, di autoproduzione quotidiana di messaggi “protetti”, di sforzi per creare lo spin giusto (ne ha scritto Fabio Martini ne La fabbrica della verità), di casting spietato per selezionare facce e corpi per la tv.
Ebbene questa “poderosa macchina per il consenso” che non ha risparmiato nessuno, neanche i giornalisti, indirizzati per anni con veline e sms sull’interpretazione dei fatti e il pensiero del leader, alla fine ha prodotto un’emorragia di due milioni e mezzo di voti rispetto al 2013, di cinque rispetto alle europee 2014, e messo gravemente in ginocchio un partito, la sua identità, la sua ragione sociale.
Renzi, infatti, pochi giorni dopo essersi insediato a Palazzo Chigi scatenava sui media un attacco senza precedenti, portato, a differenza dell’ex Cavaliere, in tutti gli apparati della comunicazione moderna, nessuno escluso (dalla tv ai social, alla radio, a Internet, ai telefonini). Solo per restare alla tv da quel momento Renzi inanellava un’impressionate serie di presenze, non solo nelle tradizionali trasmissioni informative, ma anche, ed era questa la novità più importante, in formati dove l’intrattenimento era prevalente, comparendo più volte sia a Che fuori tempo che fa che a Domenica Live o a Domenica In. L’assalto riguardava non solo, dunque, i telegiornali, dove comunque egli raramente mancava all’appuntamento e che gli regalavano sia in Rai che in Mediaset percentuali mai raggiunte da un capo di governo (come testimoniano i dati Agcom), ma, da allora e senza soluzione di continuità, anche gli spazi poco politicizzati del divertimento, da lui utilizzati più volte per parlare ai cittadini, lanciare messaggi, raccontare del suo governo. Rimane esemplare la partecipazione a Un mondo da amare al fianco della Clerici la sera del 18 dicembre 2014. L’anno 2016, con il referendum costituzionale, avrebbe rappresentato il momento clou di una mobilitazione elettorale permanente, capace di produrre uno stress comunicativo rimasto ininterrotto fino a oggi, salvo per pochi mesi dopo la sconfitta del 4 dicembre. Com’è accaduto, c’è da chiedersi, che questa permanent campaign poderosa e inedita non abbia prodotto i frutti sperati, anzi tutt’altro? Azzardiamo un paio di spiegazioni, che diamo al netto delle pur necessarie valutazioni politiche sul personaggio. La prima è che Matteo Renzi lanciava la sua offensiva proprio quando la comunicazione politica in tv cominciava, ingenerando disaffezione e distacco nella gente, una sua inesorabile parabola declinante: una sfasatura strategica non da poco rispetto all’esprit du temps per la sua crociata mediatica; la quale, a sua volta, scatenava altra comunicazione avversa e altre chiacchiere nelle tv da lui meno frequentate (vedi La7), generando un fatale cortocircuito negativo.
La seconda è che, come sanno gli specialisti della materia, la tv e i media non bastano sempre da soli a fare la differenza. Essi si nutrono di velocità e, come scriveva Paul Virilio, sono nemici della durata. E la sovraesposizione, come in una fotografia malfatta, produce una cattiva immagine. È la vecchia storia della televisione e del consenso: la prima non garantisce il secondo, perché il consumo di essa avviene sempre in un contesto, che è quello che alla fine conta.
Eco diceva che se un poveraccio vede una pubblicità fatta di ricchezze possibili e luoghi da sogno alla fine, piuttosto che comprare la saponetta, può darsi che s’incazzi con chi lo sottopaga e lo sfrutta. La chiamava “decodifica aberrante”, variabile essenziale per capire le comunicazioni di massa. Ecco, forse è quello che è accaduto in questi anni a Matteo