il manifesto 13.3.18
Vegetti e Lanza, nel mondo degli antichi
La scomparsa, a distanza di pochi giorni, di due grandi figure di studiosi di Platone e Aristotele
di Massimo Stella
Mario
Vegetti e Diego Lanza sono mancati a quattro giorni di distanza l’uno
dall’altro. Per chi ha studiato con loro e da loro è stato avviato alla
ricerca è un momento di riflessione. Li ha accomunati, durante tutto il
loro percorso, un’attenzione strutturale per il dialogo tra il mondo
antico e il mondo moderno e contemporaneo.
Prendere posizione
dentro il sapere (in accademia e fuori dall’accademia) attraversare, con
il rigore della competenza, i confini delle discipline, incrociandone i
linguaggi e le pratiche discorsive, è il tratto che li
contraddistingue, facendone degli intellettuali, oltre e al di là della
cattedra.
DELLA TRADIZIONE marxista hanno rappresentato la
declinazione politico-scientifica, non quella storicistico-umanistica:
ed è per questo che hanno saputo innovare, a partire dall’Ideologia
della città – il loro esordio comune (era il 1975), o meglio, l’approdo
comune, destinato a diventare noto, di un percorso parallelo iniziato,
insieme, un decennio prima.
STUDIARE Platone e Aristotele con
Mario Vegetti significava leggere i filosofi della tradizione
occidentale da Hegel a Nieztsche a Foucault a Deleuze, dai neoplatonici a
Hobbes e Spinoza: L’etica degli antichi è, oltre che quella celebre
sintesi sul «pensiero morale antico» da tutti conosciuta, un
libro-prisma in cui si ripercuotono alcune delle più grandi questioni
etico-politiche della nostra modernità e della nostra contemporaneità.
Così
i saggi fondamentali di Diego Lanza sulla tragedia e sulla commedia
antiche, La disciplina dell’emozione e Lo stolto, ci mettono di fronte a
un teatro antico che è, innazitutto, una forma di conoscenza rivolta
alla comunità: una «forma», appunto, linguistica e antropologica, prima e
oltre che un prodotto storico (e/o letterario), un’ esperienza del
pensiero (il lavoro di Lanza sulla Poetica di Aristotele prende senso da
qui), dietro alla quale si intravede costantemente il rapporto con le
riemergenze del tragico nella filosofia post-nietzschiana fino a Szondi e
la lezione viva di Edoardo e di Dario Fo.
L’interesse, ancora
comune, di Lanza e di Vegetti per il sapere scientifico degli antichi,
dalla medicina ai discorsi delle tecniche – Il coltello e lo stilo e Tra
Edipo ed Euclide (Vegetti); Lingua e discorso nell’Atene delle
professioni (Lanza), senza parlare delle Opere biologiche di Aristotele
(Lanza-Vegetti) – costituiva, di nuovo, il risultato di un
posizionamento e d’un atto di coscienza scientifica: la reazione
marxista al culto delle belles lettres (che tanta critica marxista
continuava, nonostante tutto, a praticare) e la convinzione che
l’intellettuale dovesse riscoprire i movimenti della materialità mentre
anatomizzava le rappresentazioni (ideologiche) della «realtà»: il
discorso del corpo, la differenza di genere, i paradigmi antropologici
in conflitto o in armonia con le epistemologie, la frontiera umano-non
umano (uomo-animale).
PER TUTTE QUESTE RAGIONI, e forse anche per
una forma di nostalgia politica, Lanza e Vegetti erano studiosi legati
al collettivo di studi. I seminari di letteratura greca diretti da Lanza
erano straordinari laboratori di pensiero in cui laureandi, dottorandi,
ricercatori e professori dialogavano democraticamente, collaborando a
opere collettive o traendo energie fondamentali per lo sviluppo dei
propri lavori individuali.
Il decennale laboratorio di traduzione e
commento della Repubblica di Platone, diretto a Mario Vegetti, è stata,
per chi vi ha partecipato, un’esperienza assolutamente determinante
sotto ogni aspetto, metodologico, scientifico, umano.