il manifesto 11.3.18
La sinistra muore perché si è chiusa in se stessa
Dopo il voto. Sulle ragioni della sconfitta non basta il lamento, serve una spietata autocritica
di Gaetano Azzariti
Terrei
ben distinte le questioni dell’attualità politica rispetto a quelle di
prospettiva. Nell’immediato bisognerà dare un governo al paese in base
ai risultati elettorali. Se si vuole evitare il ritorno alle urne senza
nessuna possibilità di un’inversione di tendenza si dovrà giocare di
rimessa, con l’unico obiettivo di cercare di non far precipitare il
paese nella spirale del peggior populismo xenofobo e salvaguardare
alcune casematte della sinistra.
Si potrebbe provare a
condizionare un governo a direzione pentastellata (piaccia o no sono
loro ad avere ottenuto il maggior consenso tra le forze politiche
organizzate) individuando i temi e le formule di un possibile accordo.
In fondo il reddito di cittadinanza e la questione del lavoro, il
superamento delle politiche economiche restrittive e la messa in
discussione del principio del pareggio di bilancio in costituzione,
politiche sociali maggiormente favorevoli ai diritti dei cittadini sono
terreni di possibile confronto. Su altri fronti si potrà cercare di
limitare i danni cercando di volta in volta una mediazione possibile,
sfruttando quel margine di intervento che c’è, vista la non
autosufficienza dei 5 Stelle. Non necessariamente ciò deve portare ad un
accordo di governo, basterebbe riscoprire il valore dell’attività
parlamentare. D’altronde, la fine del bipolarismo dovrebbe portare
«naturalmente» a quest’esito. Comprendo che non è facile cambiare passo
in parlamento dopo venticinque anni di ubriacatura maggioritaria. Una
storia alle nostre spalle che ha teso a considerare «inciucio» ogni
possibile «compromesso» politico.
PER EVITARE ESITI degenerati
sono necessari alcuni presupposti che garantiscano gli accordi che si
vanno assumendo. In passato bastava la forte legittimazione delle forze
politiche e dei loro leader (il Pci e Togliatti non avevano difficoltà a
parlare con Giannini dell’Uomo qualunque o con le diverse anime delle
Dc), oggi la trasparenza si rende necessaria per rassicurare un popolo –
giustamente – diffidente. Dunque, non tanto nelle sedi di partito ma è
in parlamento che deve svolgersi la discussione politica. In fondo, tra
le cause di degenerazione degli accordi tentati nel più recente passato
v’è proprio l’assenza di visibilità. Il patto del Nazareno contratto
alla sede del Pd o quello della crostata a casa Letta sono stati
definiti nell’ombra e tra leader di partito a titolo privato. In una
situazione ancor più complessa che non in passato, con equilibri
istituzionali più fragili e forze politiche ben poco riconosciute,
rendere pubblici gli impegni raggiunti a seguito di un dibattito
parlamentare aperto e trasparente credo rappresenti la maggiore garanzia
per conseguire più solide mediazioni politiche.
NON MI ILLUDO
certo che il metodo indicato, che privilegia il ruolo del parlamento,
possa portare ad una rivincita della sinistra. Tutt’altro. La sinistra
ha perso le elezioni e dunque, almeno nel breve periodo, potrà svolgere
solo un ruolo di resistenza. La trincea parlamentare è certamente
sguarnita, ma – dal punto di vista istituzionale – non ne vedo altre.
Preso
atto dei ridotti limiti entro cui possono continuare a sopravvivere le
politiche di sinistra radicale nel breve periodo, si deve
necessariamente anche riflettere sulla prospettiva di più lungo periodo.
Interrogarsi attorno alle ragioni della sconfitta storica subita e
valutare realisticamente le possibilità di una sua «rifondazione»
(termine orribile, abusato e ormai privo di significato, ma non riesco a
trovarne un altro). Su questo terreno non basta più il lamento, c’è
bisogno di una spietata autocritica. La sinistra non s’è disfatta per
colpa degli altri, ma per le proprie debolezze.
ESSA STA MORENDO
perché s’è chiusa in sé stessa. Non riesce più a prospettare un
cambiamento reale della vita delle persone, le quali si sentono sempre
più abbandonate dalle forze politiche di sinistra. E infatti i
«dimenticati» guardano altrove, spesso alla destra populista. Per
provare a sopravvivere la sinistra deve smetterla di pensare alle
proprie piccole cose, che troppo spesso coincidono con la difesa di
rendite di posizione personale e la voglia di regolare i conti solo
all’interno delle proprie organizzazioni politiche ormai esangui. Per
avere un futuro il pensiero critico deve ricominciare ad interpretare il
cambiamento. Non in base a promesse roboanti (ne siamo stati sommersi
in questi anni), ma mostrando il coraggio della concretezza. Si potrebbe
iniziare cominciando a discutere con chi ha vinto le elezioni di temi
che possono far maturare una coscienza anche a sinistra, in fondo un
modo per mettere alla prova tutti: la forza degli altri, le nostre
debolezze. Chissà che non ne esca qualcosa di buono?