il manifesto 11.3.18
Il grande sconfitto è il mito europeista
di Gianpasquale Santomassimo
A
tutti quelli che fanno analisi molto complicate e politicistiche, che
ritengono che un certo partito abbia perso barcate di voti per una
parolina sbagliata in tv, per un obiettivo errato nel programma, per
quel candidato indigesto ecc., va ricordata una semplice verità: che il
grosso dell’elettorato si orienta e ragiona in maniera molto più
semplice. Se la «sinistra» è divenuta indigesta e invotabile agli occhi
degli elettori questo si ripercuoterà a raggi concentrici, da Renzi a
Grasso e ancora più a sinistra.
Le distinzioni che gli
appassionati di politica fanno, spaccando il capello in quattro, non
hanno alcun valore e non sono intellegibili per l’elettore comune. Si
tratta di capire perché vi sia stato un rigetto così ampio e
probabilmente definitivo di ciò che è stato considerato «sinistra» negli
ultimi decenni. Un fenomeno non sorprendente, e che viene da abbastanza
lontano, da un’inversione di ruoli e di rappresentanza di ceti e di
stili di vita, raffigurato plasticamente da tutte le analisi del voto
degli ultimi anni, che hanno contrapposto benestanti soddisfatti dei
centri cittadini a popolo delle periferie che esprimeva un bisogno al
tempo stesso di ribellione e di protezione.
Non è che mancassero
offerte di sinistre possibili, anche molto variegate, se pure di scarsa
qualità: a questo punto è mancata la domanda di sinistra, diciamo. Tutta
la sinistra (moderata, radicale, antagonista) è stata percepita e
giudicata dall’elettorato come parte integrante di un sistema da
cambiare.
Assistiamo anche in Italia all’inabissamento della
sinistra liberal che era stata a lungo egemone con la sua visione del
mondo. La stessa cosiddetta «sinistra radicale» era stata null’altro che
l’ala estrema di questa ideologia diffusa, sensibilissima alle
tematiche dei diritti civili e delle battaglie «umanitarie», di fatto
inerte sul terreno dei diritti sociali.
E anche complice della
costruzione del mito europeista, che è sullo sfondo il grande sconfitto
di questa consultazione. Parte integrante dell’establishment europeista
il Pd, molto spesso ascari della «più Europa» i suoi critici di
sinistra.
Non solo euro e regole ci troviamo di fronte, ma anche
una ideologia complessiva potentissima e pervasiva, un fronte politico e
culturale vastissimo, convinto che «più Europa» sia la soluzione ai
problemi che l’Europa stessa ha posto con la sua folle attuazione. Si
tratterebbe di affrontare un lavoro di lunga lena per demistificare –
come si diceva un tempo – le risultanze di una egemonia costruita con
molti decenni di impiego massiccio di risorse culturali, mediatiche,
economiche, ma che riposa su basi storiche e teoriche fragilissime,
testimoniate da quell’imbarazzante documento che è passato alla storia
come «manifesto di Ventotene».
Il problema dell’europeismo di
sinistra è che ormai non è più soltanto ideologia sostitutiva di quelle
novecentesche crollate nell’89 e non è più solo «religione civile»
imposta ai sudditi dall’establishment. Ma ormai è religione vera e
propria, con i suoi dogmi, i suoi atti di fede cieca e assoluta, il
credo quia absurdum (credo perché è assurdo) e anche una dose massiccia
di sacrifici umani. Cominciare almeno a porre il problema, discuterne
apertamente e laicamente a sinistra, sarà sicuramente un fatto positivo
(oltre che doveroso).
Senza ripensare tutto sarà impossibile
ripartire. Non mi faccio grandi illusioni, la Repubblica continuerà a
delirare su populismo e «sovranismo», la sinistra continuerà a trattare
da fascisti e razzisti le masse popolari che esprimono disagio per le
loro condizioni di vita, continuerà a discettare di «ossessioni
securitarie» e a immaginare che il “multiculturalismo” sia un pranzo di
gala privo di lacerazioni e drammi. Si lascerà alla destra la difesa
dell’interesse nazionale, e perfino l’esercizio della sovranità
costituzionale per la quale avevamo votato il 4 dicembre del 2016.
«Non
ci interessa la sovranità nazionale, siamo internazionalisti» dichiara
la dirigente di una lista elettorale che ha preso l’1,1%. Ci si chiede
da quando questa posizione, che ignora perfino il significato delle
parole, e che sarebbe impossibile spiegare ai cubani, ai vietnamiti, ma
anche ai curdi e a qualunque altro popolo, sia diventata luogo comune
nella sinistra italiana.
Anziché evocare il Popolo bisognerebbe cominciare almeno a parlarci. Quando ci si deciderà a farlo non sarà mai troppo tardi.