Il Fatto 8.3.18
Il Pd è già oltre: Renzi non controlla più i gruppi
La
conta - Le manovre per la formazione del governo partono da Palazzo
Madama: ma lì Matteo può contare solo sulla metà dei senatori
di Wanda Marra
Matteo
Renzi si è “formalmente dimesso lunedì”, con tanto di lettera scritta: è
Matteo Orfini a farlo sapere, nel tardo pomeriggio di ieri, mentre il
resto del gruppo dirigente già discute e litiga su come gestire il dopo.
Nel Pd e nelle trattative per il governo. Tra Senato e Camera, i big
dem – diversamente divisi – stanno facendo i conti degli eletti. Perché
comunque vada lunedì in direzione, saranno i gruppi parlamentari che
permetteranno o affonderanno la nascita di un governo. Il Pd è l’ago
della bilancia per qualsiasi tipo di esecutivo, a parte quello Cinque
Stelle – Lega, che, pur essendo l’unico che avrebbe i numeri, non sembra
essere nei radar. La prima cosa che balza agli occhi è che – nonostante
la blindatura fatta con le liste – Matteo Renzi in Senato (dove ha
scelto di candidarsi, insieme ai fedelissimi) può mettere la mano sul
fuoco solo su meno della metà dei 57 eletti (tra Pd e coalizione) nel
gruppo. A Montecitorio, i calcoli sono più complessi, ma la proporzione è
ancora meno renziana. In entrambi i rami del Parlamento, comunque,
Renzi dovrebbe arrivare ai 20 eletti alla Camera e 10 al Senato, quelli
che potrebbero consentirgli di formare gruppi autonomi.
In attesa
della direzione di lunedì, ieri Carlo Calenda, è andato al Nazareno, si è
fatto fotografare con il vice segretario Maurizio Martina, poi ha preso
la tessera. Il tutto chiarendo: “Il leader naturale del partito è Paolo
Gentiloni”. E soprattutto, mettendo in chiaro: “Siamo alternativi al
Movimento Cinque Stelle. Altrimenti, la tessera la riconsegno subito”.
Seguito a ruota da Andrea Orlando: “Il 90 per cento del partito è contro
il governo con M5s o il centrodestra”. Ma: “Nessun traccheggiamento. Lo
statuto dice che se cade il segretario si dimette tutto il gruppo
dirigente”. Tutti i big del Pd (tranne Michele Emiliano), mentre si
attestano (almeno a parole) sulla linea di Renzi, chiedono la sua testa.
Che a un certo punto pare arrivare definitivamente per bocca di Orfini.
Lunedì,
dunque, Renzi cesserà formalmente di essere segretario. Il reggente
dovrebbe essere Martina (che è pur sempre il suo vice). La minoranza (e
non solo) chiede che sia affiancato da una “cabina di regia”. Per
adesso, da Orfini arriva un no. Poi sarà convocata l’Assemblea. A quel
punto, parte il percorso congressuale. La prima partita che si apre è
nel Pd: Renzi si ricandida? In questi giorni lo ha smentito
categoricamente. E chi si prepara ad assumerne la leadership? E Renzi
rimarrà in minoranza? Oppure cercherà di ricominciare da un suo partito?
Molto
si capirà nelle prossime settimane, durante le elezioni dei capigruppo
(che Renzi vuole scegliere) e dei presidenti di Camera e Senato. Si
parte da Palazzo Madama. Al momento, una trattativa con Luigi Di Maio
vede favorevoli a Palazzo Madama solo gli uomini di Emiliano, ovvero
Assuntella Messina e Dario Stefano. I senatori M5s sono 112: per la
maggioranza serve quasi tutto il gruppo del Pd. In un primo momento
Dario Franceschini aveva sperato di essere il prescelto, in questo
schema, per una presidenza di garanzia di Montecitorio. Ci ha pensato
Renzi a stoppare l’operazione. Per ora.
Poi c’è l’opzione di un
appoggio al governo di centrodestra. Guidato da Matteo Salvini. O da
qualcuno di Forza Italia che potrebbe subentrargli se lui dovesse
fallire. Basta la metà del gruppo dem, sia alla Camera che al Senato.
Contando su Renzi o facendo fuori Renzi? La prima operazione, che si sta
testando in quest’ottica è quella che vuole Zanda presidente del Senato
con Renzi fuori. Numeri incerti.
Passando ai raggi x i senatori
dem, quelli prontissimi a seguire gli ordini di Renzi sono in tutto poco
più di una ventina: i più noti, Francesco Bonifazi, Davide Faraone,
Ernesto Magorno, Simona Malpezzi, Daniele Manca, Andrea Marcucci,
Salvatore Margiotta, Tommaso Nannicini, Dario Parrini, Valeria Sudano,
Teresa Bellanova. Oltre allo stesso Renzi. In partenza, ma con tenuta
dubbia, anche Tommaso Cerno, Edoardo Patriarca, Gianni Pittella, Roberto
Rampi, Matteo Richetti. Su Alessandro Alfieri, Valeria Fedeli, Mauro
Marino, c’è un punto interrogativo. Mentre Emma Bonino, Pierferdinando
Casini, Luigi Zanda veleggiano verso altri lidi. Ascrivibili all’area
Zanda-Franceschini sono almeno in 5, tra cui Roberta Pinotti. Poi ci
sono 3 orfiniani (Valeria Valente, Vincenzo D’Arienzo e Francesco
Verducci) e 3 orlandiani (Antonio Misiani, Anna Rossomando, Monica
Cirinnà). Basta qualche rapido calcolo per capire che la situazione è
fluida.