Il Fatto 6.3.18
Cinque punti (più uno) per capirci qualcosa
di Antonio Padellaro
Lo
zen e l’arte di manutenzione dei risultati elettorali prevede un
principio base; nulla è come ci fanno credere. Ecco quindi alcune banali
regolette per cercare di capirci qualcosa.
Primo: il viscido
Rosatellum ha fatto centro. Alcuni malfidati (tra cui chi scrive)
sospettavano che il nuovo sistema elettorale fosse troppo demenziale per
non nascondere un trappolone. Ovvero: evitare a tutti i costi la
formazione in Parlamento di una maggioranza coesa e autosufficiente. Per
mantenere l’eventuale nuovo governo in una situazione politicamente
precaria (utile alla vigilanza Ue). Così come del resto è avvenuto dal
2011 in poi con gli esecutivi a guida Monti, Letta, Renzi, Gentiloni.
Missione compiuta. Il M5s ha stravinto ma non può governare da solo.
Idem per il centrodestra a guida Matteo Salvini. Un po’ come ottenere
l’Oscar per il miglior film ma non poterlo ritirare. Non sfugga il fatto
che il marchingegno porta il nome di Ettore Rosato, capogruppo del Pd
alla Camera, l’unico partito abbastanza sicuro di andare incontro a una
sconfitta il 4 marzo (anche se non di queste proporzioni).
Secondo:
il gioco del cerino acceso. Come è noto l’unico medicamento che può
lenire le ferite di chi ha perso è favorire la disgrazia altrui. Fossimo
perciò in Luigi Di Maio staremmo bene a attenti a non insistere per
ottenere l’incarico da Sergio Mattarella, senza un’adeguata rete di
protezione. Che fino alle 18 di ieri pomeriggio poteva essere
l’ipotetico sostegno del Pd (derenzizzato) a un ipotetico governo a
guida Cinque stelle. La domanda però era: perché mai un partito
dissanguato dagli elettori e costretto a un ruolo secondario nel nuovo
Parlamento avrebbe dovuto fare da sgabello al proprio nemico? Infatti,
alle 18 e 30 Renzi, nel dimettersi senza dimettersi da segretario
annuncia l’intenzione di restare in sella fino alla formazione del nuovo
governo: per evitare, sostiene, “inciuci” con gli “estremisti”. A parte
la guerra civile subito dopo scoppiata al Nazareno per il M5s potrebbe
non essere una cattiva notizia. Trattare con un Pd tenuto in ostaggio da
Renzi avrebbe significato oltre a una probabile perdita di tempo la
sicurezza di bruciarsi le dita e forse anche l’intera mano.
Terzo:
il successo logora chi ce l’ha. Fateci caso, da ieri Matteo Salvini,
pur gonfio di percentuali e seggi non parla più come futuro presidente
del Consiglio. Il suo ego si è scontrato con una realtà dolorosa: al
centrodestra mancano troppi voti per ottenere la fiducia delle Camere.
Senza contare che, immaginiamo, il padrone della coalizione avrebbe
fatto voto perpetuo di castità piuttosto che fare da secondo al suo
mezzadro. Accantonata, per il momento, la questione del premier ora
comincia la partita finale per conquistare la leadership nella
coalizione. Salvini ha dalla sua più voti e meno anni. Berlusconi i
soldi e le televisioni. A occhio e croce, dopo aver osato superare il
maestro il giovanotto felpato farebbe bene a guardarsi le spalle.
Quarto:
il diavolo è nei particolari. Questa volta il rituale delle
consultazioni al Quirinale (spesso trito e ritrito) potrebbe essere
rivelatore di verità negate. Come il “dimissionario” Renzi che decidesse
ugualmente di guidare la delegazione Pd (l’odio vigilante) malgrado la
fronda che gli hanno scatenato contro gli ex amici Franceschini, Zanda,
Martina. Come Berlusconi, Salvini, Meloni nel caso fossero ricevuti da
Mattarella non in formazione tipo bensì uno alla volta: tutti insieme
separatamente.
Quinto: lo scottante segreto nell’urna. Dopo ogni
voto l’elezione delle presidenze dei due rami del Parlamento, supremi
organi di garanzia, rappresentano il banco di prova per le future,
possibili alleanze di governo. È probabile che al Senato non vi siano
ostacoli eccessivi per il candidato del centrodestra (favorito il
leghista Roberto Calderoli). Ma se alla Camera, come sembra, il M5s
candiderà un proprio esponente nel voto segreto potrebbe accadere di
tutto. Per esempio che Pd e centrodestra uniscano le loro forze onde
affondare il movimento grillino. Prepariamoci ai giorni dei lunghi
coltelli (e dei trionfi brevi).
Infine lo zen. Con questi chiari
di luna il presidente Mattarella dovrà esercitare tutto il possibile
paziente autocontrollo per impedire che la strategia dell’interdizione
reciproca, dell’intrigo, del maneggio, del mors tua vita mea trasformi
la volontà chiaramente espressa dai cittadini italiani in un pantano
senza fine. Avrà due armi a disposizione. In mancanza di una soluzione
di governo la minaccia di sciogliere rapidamente le Camere: un incubo
per gli eletti appena usciti vivi dalla campagna elettorale. La
permanenza di Paolo Gentiloni a palazzo Chigi a tempo indeterminato.
Un’autentica perfidia.