martedì 6 marzo 2018

Il Fatto 6.3.18
Uno spettro non si aggira più per l’Europa
Socialismo addio - Francia, Spagna, Grecia & C.: partiti con le ossa rotte e ridimensionati
Uno spettro non si aggira più per l’Europa
di Andrea Valdambrini


Se quella italiana esce dal voto del 4 marzo con le ossa rotte, anche nel resto dell’Europa occidentale la sinistra storica non si sente affatto bene. E non da oggi. Partiti di tradizione ex comunista, socialista o socialdemocratica vengono di volta in volta svuotati dall’interno o trasfigurati (in Francia e Gran Bretagna), ridotti ai minimi termini di consenso di fronte al successo di alternative a sinistra (in Grecia e in Spagna), oppure si ritrovano fortemente ridimensionati (in Germania e Austria). Con la sola eccezione del Portogallo dove il premier socialista Antonio Costa governa da più di due anni, sostenuto dai comunisti.
Detonatore di tutti gli smottamenti sono le tornate elettorali. A dare il ‘la’, le elezioni parlamentari in Grecia, prima nel gennaio e poi nel settembre 2015, in mezzo c’era stato il referendum sul piano di salvataggio dei creditori internazionali e le dimissioni del premier Tsipras. Il Partito socialista panellenico (Pasok), fino ad allora al governo insieme alla destra del premier Antonis Samaras, ottiene i peggiori risultati di sempre (4,68% nella prima e 6,28% nella seconda consultazione, corrispondenti a 13 e 17 deputati su 300). Per quasi 30 anni, a partire dal 1981 non era mai sceso al di sotto del 35%.
Era stato Andreas Papandreou a portare al governo i socialisti ellenici nel 1981, avanguardia di quell’eurosocialismo che avrebbe espresso poco dopo Felipe Gozalez a Madrid e Francois Mitterand a Parigi e la cui spinta, con variazioni su tema (terza via blairiana e socialdemocrazia di Schreoder nel 1997 e ‘98), sarebbe durata fino alle soglie della crisi finanziaria del 2008; in seguito alla quale, però, nulla per i socialisti europei sarebbe stato più come prima. In Francia, dopo la catastrofica esperienza di Hollande, il collasso della gauche è avvenuto per svuotamento. Da un lato Emmanuel Macron con En Marche!, dall’altro la sinistra anti-establishment di Jaen-Luc Melenchon lasciano al glorioso Ps francese le briciole: alle legislative del 2017, ottiene il 5,7%, perdendo 35 punti rispetto al 2012, che si traduce in 250 parlamentari in meno all’Assemblea Nazionale. Nel Regno Unito, alle prese con la prioritaria partita della Brexit, il Labour invece è in perfetta salute, ma è stato scalato dall’interno. Spazzato via il leader mai premier Ed Miliband dopo la sconfitta del 2015 contro i Tories, la rifondazione radicale è toccata a uno storico oppositore di Tony Blair, come Jeremy Corbyn.
Caso isolato, quello di Londra, già solo se si guarda alla Spagna, dove il Psoe che veleggiava poco sotto il 50% negli anni dopo la fine della dittatura e che aveva raggiunto il 44% ancora nel 2008, dopo essere passato attraverso Zapatero, è sceso drasticamente al 22% tra il 2015 e il 2016. Tradotto, 85 deputati sul totale di 350, minimo storico dalla fine della dittatura di Francisco Franco nel ‘75. Non una sconfitta assoluta, certo, ma un calo speculare all’ascesa di Podemos. Nato nel 2014 sulla forza del movimento di piazza degli Indignados, e guidato dal mediatico Pablo Iglesias, Podemos sfonda il 20% già con il voto del dicembre 2015, consolidandosi al 21% con il nuovo voto del 2016. Il risultato si traduce in 71 deputati: poco meno dei socialisti, di cui diventano così il principale avversario a sinistra.
Le percentuali dei socialisti spagnoli non sono dissimili da quelle dei socialdemocratici in Germania (Spd), che sotto la guida di Martin Schulz lo scorso settembre si sono assestati a poco più del 20%. Prima del 2005 non erano mai scesi sotto il 30% per tutto il Dopoguerra. Il prezzo pagato alla Grosse Koalition, probabilmente, così come è avvenuto nella vicina Austria. Anche a Vienna, dove i socialdemocratici della Spo hanno governato per decenni forti di maggioranza solide, sono scesi sotto il 30 negli ultimi 10 anni. Quando si è trattato di eleggere il presidente della Repubblica nell’aprile 2016, il loro candidato si è fermato all’11%: quarto al primo turno e fuori dal ballottaggio.