venerdì 30 marzo 2018

Il Fatto 30.3.18
Redditi bassi, pensioni minime, poveri: ecco l’Italia senza ripresa
Dimenticati - I dati del Tesoro sull’Irpef e quelli Inps su assegni previdenziali e sussidi raccontano il Paese che non è ripartito
di Stefano Feltri


Ma quanti sono gli italiani in difficoltà, quelli per cui la ripresa non è mai arrivata? Al centro del dibattito sul reddito di cittadinanza ci sono i 4,7 milioni di persone in povertà, assoluta, che non riescono a permettersi uno stile di vita accettabile misurato su un paniere di consumi elaborato dall’Istat. Ma se questi italiani in difficoltà hanno conquistato almeno la cima dell’agenda della politica, i dati pubblicati in questi giorni sulle dichiarazioni sui redditi Irpef e sulle pensioni indicano che l’area del disagio è molto più ampia e non migliora molto.
Secondo i dati del ministero del Tesoro, nel 2016 il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è stato pari a 20.680 euro, quello dei pensionati a 17.170 euro, due categorie che sicuramente non possono evadere. Va meglio ai titolari di ditte individuali, 21.080, i lavoratori autonomi dichiarano invece 41.070 euro. Ma quello che conta è la tendenza: rispetto al 2015 salgono parecchio i redditi medi d’impresa (+5,3 per cento), quelli del lavoro autonomo anche di più (+9), segno che hanno intercettato la ripresa, mentre quelli dei lavoratori dipendenti restano piatti (+0,1).
Anche nelle parti più basse della scala sociale le forbici si sono allargate. I poveri sono diventati più poveri. Secondo l’Istat, nel 2016 l’indicatore che misura l’intensità della povertà (quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà) è salito rispetto al 2015 dal 18,7 per cento al 20,7. Due punti in un anno solo non è poco. E che la situazione sia critica, nonostante la ripresa dell’economia, lo dimostrano i primi dati dell’Inps sul Rei, il reddito di inclusione che è stato introdotto dal governo Gentiloni e si può richiedere da dicembre 2017, in media vale 297 euro a persona al mese: lo hanno ottenuto 316.000 persone, non sappiamo quante lo hanno richiesto, però, visto che l’Inps non divulga questo dato (che è complicato da aggregare perché le domande sono nei Comuni e c’è una scrematura per escludere chi non ha diritto). Quel sussidio è pensato per la platea dei 4,7 milioni di italiani in povertà assoluta di cui fanno parte anche 50.000 persone senza fissa dimora che non si sa neppure se sono davvero conteggiati nelle statistiche dal momento che sono molto difficili da raggiungere con qualunque indagine sociologica (c’è un esperimento in corso a Milano, si chiama “Ulisse” e verrà poi esteso a Roma e Napoli).
I pensionati non sono le prime vittime della crisi, perché non potevano restare disoccupati, e infatti il rischio povertà è aumentato per i giovani, non per gli anziani. Ma se si guarda il valore degli assegni pagati dall’Inps si capisce quanto esile sia la tenuta di quel blocco sociale: su 17,8 milioni di pensioni pagate, ben 4,6 milioni sono sotto i 500 euro e altri 6,5 milioni tra i 500 e i 750 euro. È vero che magari per molte di queste persone non è l’unico reddito e che in molte zone d’Italia se si dispone di una casa di proprietà si può sopravvivere anche con 700 euro, ma stiamo comunque parlando di 11 milioni di italiani che ogni mese ricevono sul conto meno di quanto vale il famoso reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle (780 euro). La pensione media è di soli 866,72 euro mensili.
Per queste vaste masse di italiani cambia poco se la crescita del Pil si attesta sull’1,5 per cento o sull’1,8. Molto potrebbe cambiare invece con una riforma di come vengono spese le ingenti risorse stanziate per il welfare. L’Inps ci ricorda con i dati di ieri che le pensioni assistenziali, quelle pagate senza essere coperte da alcun contributo, valgono 16 miliardi ogni anno. Ma un dossier della rivista Prospettive sociali e sanitarie diretta da Emanuele Ranci Ortigosa, stimava una cifra assai più sorprendente: per colpa di criteri di selezione congegnati male, dei 56 miliardi di euro di trasferimenti monetari erogati dallo Stato per il welfare, ben 13 miliardi vanno al 40 per cento degli italiani più benestanti, in base all’indicatore Isee che considera redditi e patrimonio. Gente che ha un reddito disponibile medio equivalente tra i 23.621 e i 43.389 euro annui. Non saranno tutti ricchi, certo, ma di sicuro non sono i più poveri e bisognosi. Per potenziare misure davvero contro la povertà bisognerebbe cominciare da lì, dal togliere sussidi a chi non ne ha davvero bisogno e secondo il dossier di Prospettive sociali e sanitarie si possono recuperare almeno 4,6 miliardi.
Come si è visto il 4 marzo, il futuro della politica si decide anche, e forse ormai, soprattutto su questi temi.