Il Fatto 2.3.18
Di Maio, tanti ministri “rossi”. E all’ultimo salta Roberto Fico
Il
candidato premier M5S presenta il suo esecutivo: 5 donne e 12 uomini.
Una lista che guarda a sinistra per il dopo-voto. Per l’ortodosso si
pensava a un dicastero ad hoc
di Luca De Carolis e Paola Zanca
Una
squadra per sedersi al tavolo, con il baricentro spostato a sinistra e
qualche vuoto riempito all’ultimo momento. Piena di 40enni, con due soli
parlamentari uscenti e cinque donne, in ruoli pesanti. E un grande
assente, Roberto Fico. Era lui, il presidente della Vigilanza Rai,
l’ortodosso per eccellenza, la grande carta coperta tra i 17 aspiranti
ministri presentati ieri a Roma da Luigi Di Maio. Ma pochi giorni fa la
sua entrata in squadra è saltata, pare di comune accordo.
E così a
rappresentare i parlamentari ci sono solo due fedelissimi di Di Maio,
Alfonso Bonafede alla Giustizia e Riccardo Fraccaro ai Rapporti con il
Parlamento. Per il resto, tre candidati negli uninominali e tutti
tecnici. Anche se il candidato a Palazzo Chigi e i suoi ripetono che
“non sono tecnici, ma persone con testa e cuore”. Forma aulica che
tradisce il timore di essere accostati a governi come quello di Mario
Monti, per antonomasia l’esecutivo dei tecnici. Ma al di là dei
contorcimenti verbali è evidente come Di Maio abbia puntato su docenti e
dirigenti, molti già nell’orbita del M5S, come Pasquale Tridico e
Andrea Roventini, rispettivamente al Lavoro e all’Economia. E sono loro
due, celebratissimi dal microfono dal candidato premier, a dare la cifra
politico-economica del possibile governo a 5Stelle.
Due
keynesiani convinti, per i quali si deve ripartire dagli investimenti
pubblici e da uno Stato centrale nell’economia. “Il modello liberista ha
fallito, ora in tutto il mondo economico internazionale si torna a
Keynes” sostiene Laura Castelli, deputata che collabora da tempo con
entrambi. Tridico parte subito celebrando “il reddito di cittadinanza” e
si sofferma “sullo spopolamento del Sud, dove non si investe”. E Di
Maio batte forte le mani, perché è nel Mezzogiorno dove il Movimento ha
il suo granaio di voti. Mentre Roventini, emozionatissimo, afferma che
“il Mef deve tornare a privilegiare la crescita economica e ridurre la
finanziarizzazione dell’economia”. Se diventasse ministro, lavorerebbe
in simbiosi con Giovanni Dosi, direttore dell’istituto di Economia alla
scuola Sant’Anna di Pisa. Intanto la certezza è che Tridico e Roventini
parlano una lingua che potrebbe piacere molto a sinistra. Più o meno
quella di Mauro Coltorti, indicato – a dispetto del suo curriculum –
come ministro delle Infrastrutture e Trasporti: un geomorfologo, già
candidato nell’uninominale, attivo anche nella cooperazione. Poi c’è
Emanuela Del Re, docente universitaria messa agli Esteri, che tra le
altre cose scrive Limes, rivista di geopolitica del gruppo editoriale
Gedi (quello di Repubblica e Espresso). Mentre Alessandra Pesce,
all’Agricoltura, è, raccontano, un’elettrice del Pd. Insomma, molti dei
nomi dovrebbero favorire un accordo a sinistra dopo il 4 marzo, con LeU e
magari un pezzo del Pd. “Ma è tutto da vedere, e chiaramente qualche
nome dovrà essere sacrificato nelle trattative” ammettono nel M5S.
Perché la squadra presentata davanti a un sorridente Davide Casaleggio
ha i suoi punti deboli. I no sono stati tanti. E allora invece di un’ex
prefetta, cercata per mesi, per l’Interno Di Maio ha indicato la
criminologa Paola Giannetakis, già in lista a Roma nell’uninominale.
“Collabora con le forze di Polizia ed è formatrice presso enti
governativi” rivendicano i 5Stelle. Ma sulla sua scelta,
grammaticalmente avventurosa, pesa uno sponsor di rilievo come l’ex
ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, il rettore dell’università di
Link Campus, dove Giannetakis insegna. Perché Scotti per Di Maio è un
consigliere. E più di un nome lo ha segnalato lui. Però non c’entra con
l’aspirante ministro della Cultura.
Accennata e poi affannosamente
ritentata la trattativa con lo storico dell’arte Tomaso Montanari, e
incassati almeno un altro paio di no, alla fine il M5S ha ripiegato su
Alberto Bonisoli, direttore della Nuova accademia delle Belle arti di
Milano, esperto di moda e design. Di Maio lo aveva incontrato a Milano a
inizio dicembre. E da quell’incontro nasce un’altra scelta quanto meno
curiosa. Infine, c’è il potenziale ministro alla Salute Armando
Bartolazzi che in tv si esercita sui vaccini: “Alcuni possono essere
anche discussi. Se c’è un’emergenza sanitaria, è compito del ministero
fare corretta informazione per convincere la gente”. È la linea del M5S,
ma dagli altri partiti ovviamente cannoneggiano.
Il candidato
premier però tira dritto e spara altissimo: “Avremo il 40 per cento”.
Poi celebra Sergio Mattarella: “Siamo molto fortunati ad averlo in
questo momento storico, gli riconosco il ruolo di garante e lo saprà
esercitare”. Moderatissimo, Di Maio: che ha piazzato le sue carte, ma è
pronto a spostarle. Perché l’importante è il governo.