Il Fatto 29.3.18
L’Ue contagiata dalla russofobia
di Gian Paolo Caselli
Con
l’appoggio dato alla Gran Bretagna da parte dei principali Paesi
europei (Italia inclusa) concretizzatosi nella espulsione di più di
cento diplomatici della Federazione Russa da parte dei Paesi
occidentali, Canada e Australia compresi, e l’espulsione di 16
diplomatici dall’Ucraina, l’Unione europea ha dimostrato la propria
debolezza politica e istituzionale. Ancora una volta l’Europa ha
rifiutato di avere una posizione autonoma su uno scontro fra la storica
posizione russofobica della Gran Bretagna, ormai peraltro in uscita
dall’Unione causa Brexit, e la Federazione Russa.
L’affaire del
tentato omicidio della spia russo-britannica in pensione Sergej Skripal e
di sua figlia a mezzo gas nervino è stata accolta dal Consiglio europeo
senza pretendere alcuna prova sostanziale della colpevolezza russa. Il
vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles ha preso per buona la
dichiarazione della premier inglese Theresa May, anche se lei parlava
soltanto di “molto probabile” responsabilità russa. Ed essendo probabile
per il governo inglese, per la regina e tutta la giovane famiglia
regnante, che molto probabilmente non andrà ai campionati del mondo di
calcio in Russia, il “probabile” si trasforma in “certamente vero” e non
rimane alcun dubbio che la Russia sia colpevole.
Sicuramente non
saranno fornite altre prove, ma Boris Johnson, il folcloristico ministro
degli Esteri inglese, ha già dichiarato che il presidente russo
Vladimir Putin appena rieletto per la quarta volta ha direttamente
ordinato il duplice tentato omicidio. Per la stampa inglese Putin è una
combinazione fra Ivan il Terribile, Josif Stalin, Gengis Khan e pure
Adolf Hitler. È già stata dimenticata la stagione della (falsa) smoking
gun americana ai tempi della guerra in Iraq, delle fake news di Tony
Blair, della “liberazione” anglo-francese-americana della Libia con le
valigie di dollari del defunto colonnello Gheddafi a favore della
campagna elettorale di Nicolas Sarkozy.
La russofobia inglese ha
origini lontane, a partire dall’inizio del Diciannovesimo secolo, quando
la Russia sconfisse Napoleone e divenne una potenza europea.
Questa
fobia è stata costruita con una sapiente opera di disprezzo del popolo
russo, di cui si sottolineano continuamente le caratteristiche più
negative. Il grande economista John Maynard Keynes, che pure aveva
sposato una ballerina russa, parlava addirittura di “bestialià russa”
come di una caratteristica essenziale di quel popolo. Questo giudizio
negativo viene meno soltanto se la Russia in forma zarista o sovietica
risulta utile, come quando era alleata prima contro il Reich guglielmino
poi contro la Germania nazista.
È stupefacente come l’Europa
abbia accettato passivamente la sua scomparsa politica, sostituita dalla
Nato che, a guida angloamericana, determina la politica estere di tutta
l’Unione nei confronti della Federazione Russa.
Mosca non è più
l’impero del male di reaganiana memoria, ma un Paese capitalistico con
un capitalismo “alla russa” molto fragile e che dipende in modo
sostanziale per il suo sviluppo dal prezzo del gas e del petrolio e dai
mercati finanziari.
È vero che la Russia capitalistica di Putin è
molto più potente della Unione Sovietica di Stalin, Suslov e Breznev,
che pure avevano migliaia di carri armati schierati ai confini della
Europa dell’Ovest. Ma è paradossale che questo Paese, grande sì
territorialmente ma in crisi demografica e con un’economia precaria, sia
considerato capace di influenzare e per molti decidere le elezioni che
si tengono nei Paesi occidentali, controllare la griglia elettrica
statunitense e altre infrastrutture fondamentali e, dulcis in fundo, far
eleggere presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Certo che per
la nazione che ha inventato la e-economy, che domina la Rete e che ha
le agguerritissime Fbi, Cia, Nsa e che tranquillamente ascoltava il
telefono della cancelliera Angela Merkel, non riuscire a contrastare
questa povera Russia è uno smacco umiliante.