Il Fatto 27.3.18
La rivoluzione anagrafica di una generazione esclusa
di Antonio Padellaro
Sabato
mattina il giovane sta per salire in macchina, il vecchio lo raggiunge,
quasi gli si aggrappa al braccio, gli sussurra qualcosa all’orecchio,
il giovane fa un cenno con la testa come per dire: dai, ho capito, ora
fammi andare, e rapidamente chiude lo sportello. È la clip televisiva
che fissa l’istante di un’abdicazione, forse l’attimo di una resa. Il
quarantenne Matteo Salvini con un colpo secco, improvviso, volutamente
sgarbato ha imposto all’ultraottantenne Silvio Berlusconi il suo
personale candidato di Forza Italia per la presidenza del Senato. E ha
spazzato via il nome indicato dall’altro. Il giovane è andato a
comandare in casa del vecchio, che prima si è atteggiato a furibondo e
convesso (come si permette?, ora lo distruggo) per poi farsi concavo,
piegato dalla dura realtà dei fatti. Buon viso a pessimo gioco.
È
anche (soprattutto?) una sfida anagrafica quella vinta dal giovane
Salvini e dal trentenne Luigi Di Maio contro la coppia Nazareno,
logorata dalla sconfitta, sfiancata dall’esercizio del potere per il
potere, sfibrata dal perpetuarsi delle stesse facce, delle stesse
parole, delle stesse bugie. Quella composta dall’anziano miliardario
(cinque anni in più dell’età complessiva dei due giovanotti) e da Matteo
Renzi: un Dorian Gray che a furia di rimirarsi nello specchio giovane e
figo è incanutito precocemente.
Dopo aver sentito l’odore del
sangue non sarà facile frenare la vitalità arrembante (e vendicativa)
dei Cinque Stelle. Che hanno portato in Parlamento la generazione dei
“senza” (senza lavoro, senza futuro, senza voce) per dare l’assalto al
palazzo d’Inverno (a Pietrogrado, cento anni fa, non fu contro lo zar ma
per abbattere il governo di liberali e moderati). Diversa invece la
composizione sociale dei leghisti (un ceto medio di occupati e di lavoro
autonomo in rivolta contro tasse e immigrati) ma identica la fame di
rivalsa. Pur governando già Lombardia, Veneto e Liguria, le tre regioni
più ricche del ricco Nord, e probabilmente tra poco anche la quarta: il
Friuli. Li unisce la contestazione che sale dal basso e l’interesse a
dare subito segnali di cambiamento. Per esempio, un vigoroso taglio ai
costi della casta (vedi il discorso d’insediamento del presidente della
Camera Roberto Fico) e altri provvedimenti simbolici (o demagogici)
utili a tenere in caldo i rispettivi elettorati, nel caso si dovesse
tornare presto alle urne.
Iniziative che il Parlamento può, nel
frattempo, adottare nella sua piena sovranità. Volendo, a maggioranza
Lega-M5S. Insomma, prove tecniche per il nuovo governo. Più che
contrastare lo sfondamento degli homines novi la politica di ieri sembra
impegnata a salvare il salvabile. All’ex caimano basta essere trattato
“con rispetto” (Alessandro Sallusti) e non venire estromesso dal tavolo
delle decisioni che contano. Mentre il Pd sceglie di stare fermo per non
farsi dell’altro male. Auguri. Entrambi cullano un sogno. Che a un
certo momento a far perdere i due vincitori sarà la brama di potere. Che
alla fine li distruggerà a vicenda. Sembra un film. I popcorn chi li
porta?