lunedì 26 marzo 2018

Il Fatto 26.3.18
Vincere le elezioni non è abbastanza
L’esperienza di Syriza in Grecia e del PiS in Polonia rivela quanto è difficile mantenere le promesse di cambiamento. Ma le forze anti-establishment saranno giudicate sul programma, non sulle poltrone
di Jan Zielonka


Il risultato delle elezioni ha sconvolto i principali commentatori italiani. Sono sorpreso che si siano sorpresi. Da Washington a Varsavia, da Atene a Berlino, i politici anti-establishment sono in ascesa a spese di quelli di centro-destra e di centro-sinistra. Questa è la nuova normalità.
I politici anti-establishment rappresentano un insieme eterogeneo, per personalità e perché il contesto culturale, economico e geopolitico varia da Paese a Paese. Matteo Salvini non è così divertente come Beppe Grillo, uno va meglio al Nord, l’altro al Sud. Confrontare il leader del PiS (Diritto e sviluppo) in Polonia, Jaroslaw Kaczynski a quello di Syriza in Grecia, Alexis Tsipras, è come comparare mele con pere. Lo stesso vale per il finlandese Timo Soini e lo spagnolo Pablo Iglesias. Alcuni che protestano contro l’establishment sono neo-fascisti, altri neo-comunisti, alcuni se la prendono con l’austerità, altri con i musulmani, alcuni sono moderati, altri intransigenti, alcuni secessionisti, altri nazionalisti. Ma hanno qualcosa in comune: sono contro l’ordine liberale e i suoi progetti principali, l’integrazione europea, il liberalismo costituzionale e l’economia neoliberista. I migranti sono stati al centro delle campagne elettorali perché rappresentano la quintessenza delle politiche liberali di apertura dei confini, di protezione delle minoranze e di interdipendenza economica.
I nuovi protagonisti hanno sollevato molte critiche fondate all’establishment liberal. Sotto il comando dei liberal le disuguaglianze sono aumentate e la democrazia ha preso una deriva oligarchica. Tuttavia distruggere l’ordine costituito richiede competenze diverse da quelle che servono per costruirne un altro. Il vero test non è formare un governo, ma applicare il programma radicale che è stato promesso a un elettorato frustrato.
Negli ultimi anni le forze anti-establishment hanno formato governi in Paesi molto diversi tra loro come Grecia e Polonia. L’Italia può imparare qualcosa da quelle esperienze? Sia la sinistra di Syriza in Grecia che la destra PiS in Polonia hanno vinto le elezioni sotto le bandiere della giustizia sociale, la restituzione di potere ai cittadini e la libertà dalla interferenze esterne, rispettivamente nei campi dell’economia e dei migranti. Questi nobili slogan sono stati condivisi dai Cinque Stelle e della Lega alle elezioni. Si possono mantenere queste promesse?
La prima lezione offerta da Polonia e Grecia è economica. Politiche sociali ambiziose sono possibili soltanto se l’economia è in buone condizioni altrimenti vengono osteggiate dai creditori dello Stato, dalle imprese, dall’Ue. L’economia della Polonia è cresciuta più del 20 per cento nell’ultimo decennio e questo ha consentito al governo del PiS di rispettare gli impegni presi in campagna elettorale sui temi sociali. Inoltre, la Polonia non è soggetta ai vincoli dell’Eurozona e quindi è più libera dell’Italia e della Grecia di aiutare chi è in difficoltà. L’economia greca invece si è ristretta del 20 per cento negli ultimi 10 anni e i creditori hanno messo il veto sul tentativo di Syriza di fare ciò che il PiS in Polonia ha invece portato a termine.
Gli italiani tendono a pensare che la loro situazione economia sia molto migliore di quella della Grecia. Il ministro Pier Carlo Padoan ripete che il debito italiano è elevato ma sostenibile. I ministri dell’Eurozona e i fondi speculativi potrebbero avere un’opinione diversa se il governo di Roma iniziasse a staccare assegni per tutti i poveri e i disoccupati. Questo non significa che il prossimo governo italiano debba rinunciare a pretendere giustizia sociale, ma è bene che sia consapevole della sfida.
La seconda lezione offerta da Polonia e Grecia è democratica. Sia Syriza che il PiS hanno promesso di restituire potere al popolo togliendolo a giudici non eletti, ai banchieri, ai burocrati europei. Più facile a dirsi che a farsi. Il PiS in Polonia ha attaccato la Corte costituzionale piena di oppositori politici e ha sostituiro alcuni giudici con altri più fedeli. Ma questo ha innescato una reazione a catena. Nel giro di pochi mesi, il Pis si è trovato in guerra con l’intero sistema giudiziario. I salotti del leader PiS, Jaroslaw Kaczynski, guidano ora il Paese senza più vincoli, approvando una legge disastrosa dopo l’altra. Pesi e contrappesi possono rendere il processo decisionale farraginoso ma impediscono ai governanti di prendere decisioni troppo stupide e li costringono a cercare compromessi. Il popolo non ha certo la percezione di aver ritrovato alcun potere in questa atmosfera di caos e conflitti.
Syriza in Grecia ha messo subito nel mirino i banchieri e i burocrati di Bruxelles. Ha convocato un referendum sulle condizioni degli aiuti europei ma banchieri e burocrati comunitari hanno poi deciso di ignorare quel voto e Tsipras ha dovuto accettare condizioni peggiori di quelle iniziali. Lui rivendica almeno una vittoria morale, ma non ha certo ridato potere al suo popolo. La Grecia è tuttora un protettorato governato dall’Ue per conto dei creditori dello Stato greco.
Sia in Polonia che in Grecia (come in Italia), la maggior parte delle persone è a favore dell’integrazione europea. Ma sia Polonia che Grecia si stanno ora scontrando con l’Ue. La Grecia ha perso sovranità perché Tsipras non aveva un piano B nel caso il referendum avesse prodotto un risultato sgradito a Berlino e Bruxelles. Se non accetti le regole dell’Eurozona, devi essere pronto a combattere o a uscirne. L’uscita potrebbe non essere la fine del mondo ma, come stanno imparando gli inglesi ogni giorno, la sovranità ha un prezzo. Il governo del PiS in Polonia sembra determinato a difendere la sua ritrovata sovranità contro l’influenza “esterna” dell’Ue: respinge la richiesta di ospitare rifugiati, di cessare il condizionamento politico dei media, e di ripristinare l’indipendenza della magistratura. Non è però chiaro se i polacchi siano pronti per una vera guerra all’Ue, soprattutto se questo scontro dovesse fermare il generoso afflusso di fondi europei verso la Polonia. Se la situazione precipitasse, i polacchi potrebbero scaricare Kaczynski a favore di Donald Tusk, l’attuale presidente del Consiglio europeo ed ex premier della Polonia.
L’Italia non è la Grecia e neppure la Polonia, ma le esperienze di questi due Paesi sono utili agli italiani. I media italiani si stanno concentrando troppo sulle personalità dei leader e troppo poco sui dilemmi che il nuovo governo dovrà affrontare se vuole applicare un programma di cambiamento radicale. Un’alleanza con il Pd rappresenterebbe per i Cinque Stelle un’iniezione di rispettabilità internazionale di esperienza di governo. Se la Lega riuscisse a recuperare abbastanza parlamentari per un governo di centrodestra allargato potrebbe mandare un segnale di moderazione. Nel lungo periodo, però, la politica non dipende da simboli e segnali, ma dalla capacità di rispondere alle attese dell’elettorato. Se non fosse così, Renzi o Berlusconi sarebbero ancora al potere.