Il Fatto 25.3.18
Il Paese che uccide ma non esiste: la Libia
di Furio Colombo
Continuano
a farci credere che la Libia, vasta regione sconnessa fra le due
barriere del deserto e del mare, sia tuttora uno Stato, con un governo,
un Parlamento, un esercito, una marina e un sistema giudiziario. Non è
vero. Esiste un governo di Tripoli di un tale Al Serraj, senza ministri
che si conoscano, senza parlamento, che estende la sua autorità al solo
quartiere del porto di Tripoli. Lui sta su una nave. Esiste un esercito
con un suo capo (il generale Haftar) in un’altra regione, ostile al
“governo” di Al Serraj, dove c’è anche un parlamento locale che non
riconosce Tripoli.
Bengasi è divisa da Misurata che non risponde
ad alcuna delle altre autorità più o meno legittime, salvo gli accordi
per l’attività petrolifera (dal pompaggio alla distribuzione
internazionale del grezzo) che funziona bene e ha sempre funzionato
bene, a cura di aziende italiane, al prezzo giusto e non si sa con quali
criteri di distribuzione dei ricavi immensi. Oltre al petrolio, c’è una
efficiente istituzione che resta attiva e affollata in varie parti di
ciò che un tempo era la Repubblica Libica detta Jamaria. Sono i luoghi
di detenzione, in parte vasti edifici che il passato regime usava come
prigioni, in condizioni di criminale crudeltà note nel mondo, in parte
lager costruiti alla svelta da bande locali perchè rendono molto (pagano
gli italiani) se catturi e mantieni esseri umani senza garanzie e senza
limiti coloro che tentano di attraversare la ex Libia verso il mare.
Dunque “la Guardia Costiera libica” non è libica, perchè non c’è uno
Stato con questo nome, c’è solo una piccola area (meno di San Marino) a
cui inutilmente l’Italia ha tentato di fare grandi onori. È un vuoto
riconosciuto dalle Nazioni Unite su richiesta di imprese europee del
ramo energetico, che rimane un vuoto e che, infatti, tutte le altre
parti della ex repubblica libica ignorano, e con cui non vogliono avere
alcun legame politico o giuridico. Se questo è lo stato delle cose (ed è
difficile negarlo) chi erano i miliziani armati che si sono dichiarati
“Guardia costiera libica” e hanno minacciato di sparare su personale
volontario (membri dell’equipaggio della nave Ong “Open Arm”) intento al
salvataggio di fuggiaschi che non volevano lasciarsi catturare dai
miliziani? In termini di storia e di tradizione marinara, la risposta è
inequivocabile. Se non esiste uno Stato Libico, e non può esistere una
guardia costiera di uno Stato che non c’è, uomini armati in mare, pronti
a sparare pur di impossessarsi di profughi da trasformare in
prigionieri, in cambio di un certo compenso, possono essere soltanto
pirati. Io penso che debba essere questo l’impianto della inchiesta
sulla nave di soccorso volontario (Ong) sequestrata in Sicilia. Quella
nave non può essere stata sequestrata per aver resistito ai pirati, che
evidentemente non agiscono più al largo delle coste somale, ma hanno
trovato un mercato sicuro di fronte alle coste della ex Libia.
L’equivoco è evidente, come quando si arresta un omonimo del criminale
cercato. Qui l’equivoco è: quale delle due parti risulta fuori legge? La
doverosa inchiesta giudiziaria dovrà accertare prima di tutto chi sono e
chi paga questi uomini armati che affermano di essere soldati di un
ente statuale che non esiste, e pretendono di agire con l’autorità di
uno Stato che non c’è e di un governo di cui non si vede o si sente né
volto né voce. Dovrebbe essere prestata attenzione anche alla vistosa
differenza di intenti delle due parti. I pirati hanno agito con
l’evidente intenzione di destinare tutti coloro che fossero riusciti a
catturare nelle spaventose prigioni note ormai nel mondo, dove, come è
accaduto a un giovane liberato troppo tardi e deceduto in Italia appena
libero, si muore letteralmente di fame, come a Dachau. La nave Ong ha
dimostrato e realizzato l’intenzione di salvare la vita di 218 persone
in mare. Si tratta di un soccorso giunto appena in tempo e a rischio
della vita per tutta la durata dell’operazione. Occorreva impedire la
cattura e la detenzione di persone innocenti (fra cui una giovane madre
incinta in condizioni gravi) in un caso pericoloso, anche come
precedente, di pirateria in mare.
La nave Ong ha osservato la
Carta dei Diritti dell’Uomo, i trattati umanitari di cui l’Italia è
firmataria e partecipe, ed è riuscita a sottrarre 218 esseri umani dalla
cattura di un potere che non riconosce diritti e, per questa sola
ragione, espone i propri detenuti alla pena di morte, che la legge
italiana non consente. Ben venga l’inchiesta, per sapere chi voleva
catturare famiglie in fuga, nel mezzo del Mediterraneo, a 70 miglia
dalla ex Libia, dunque fuori da acque territoriali libiche (se ci fosse
uno Stato libico) minacciando chi voleva soccorrere e chi cercava
soccorso, con le armi puntate sulle vittime designate, colpevoli di
nulla. Ci dica l’inchiesta se è accettabile per l’Italia l’umiliazione
di subire un’azione di guerra che assomiglia davvero alla pirateria, nel
centro del Mediterraneo, e davanti alle coste italiane.