Il Fatto 25.3.18
B. cede, eletti i presidenti. Ma ora il Colle è in difficoltà
FI
si piega allo schema disegnato da Lega e M5S per le Camere Mattarella,
però, si ritrova senza nomi istituzionali per il governo
di Marco Palombi
Alla
fine Silvio Berlusconi china il capo e accetta quel che è inevitabile:
Forza Italia ottiene una inutile presidenza del Senato per Elisabetta
Alberti Casellati che strappa 240 voti su 321 ma segna pure il rompete
le righe nell’ex partitone dell’ex Cavaliere.
Nella sfida a chi
frena per ultimo nel centrodestra vince Matteo Salvini, che impone la
linea della Lega e tiene unita la coalizione sotto il suo dominio, anche
grazie ai buoni uffici dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni: ai
forzisti va il Senato, ma con lo schema di gioco deciso dal Carroccio.
Il risultato è l’implosione di quel che resta di Forza Italia, che rende
ulteriormente la nuova Lega nazionale di Salvini il punto di
riferimento per quanti nei territori vogliano ancora avere qualche
speranza di poltrona a destra.
L’altro (mezzo) vincitore di questo
primo atto della legislatura è il Movimento 5 Stelle, che incassa con
420 voti su 630 la presidenza della Camera e lo fa piazzando ai vertici
di Montecitorio il capo della minoranza interna, Roberto Fico, da ieri
ibernato nel ruolo istituzionale e di sicuro meno in grado di dare
fastidio al “capo politico” Luigi Di Maio e ai suoi sogni governativi.
Per ottenere l’avvio della “stagione del cambiamento”, però, i 5 Stelle
ingoiano a Palazzo Madama il voto a favore della Alberti Casellati, una
pasdaran berlusconiana in purezza, sodale dell’avvocato Niccolò Ghedini e
sottosegretario alla Giustizia all’epoca dei lodi e delle leggi ad
personam. Roba che quasi fa rimpiangere il cellulare malandrino affidato
da Paolo Romani a sua figlia.
È la stessa perplessità per la
biografia politica della nuova presidente del Senato che si coglie nello
stupore – visti i rilievi avanzati per la candidatura di Romani – con
cui ambienti vicini al Quirinale hanno registrato la notizia della
convergenza di centrodestra e M5S sul nome dell’avvocata azzurra. Tanto
più che l’attuale inquilino del Quirinale conosce assai bene la seconda
carica dello Stato avendola avuta nel Consiglio superiore della
magistratura (che presiede) fino a ieri e vista all’opera in Parlamento e
nel governo fino al 2008.
Uno stupore in cui si legge in
controluce il forzato addio ad una delle possibilità pure messe in conto
dalla prassi costituzionale per uscire da crisi politiche
particolarmente scabrose: nessuno dei due presidenti delle Camere è
personalità adatta a ricevere un incarico esplorativo, nè tantomeno per
un governo istituzionale. Non certo Fico, ma nemmeno la seconda carica
dello Stato. Sergio Mattarella dunque, se le forze politiche non
troveranno da sole il modo di far partire la legislatura creando un
governo, dovrà essere particolarmente fantasioso.
Il problema è
che l’asse Lega-5 Stelle con cui sono stati eletti i presidenti di
Camera e Senato è una schema difficilmente replicabile per un esecutivo
pienamente politico. I contatti tra i due gruppi ci sono, e non solo tra
Lega e Movimento ovviamente, il problema è che le legittime ambizioni e
interessi dell’una e dell’altro difficilmente si potranno conciliare in
un vero governo.
Salvini, per esempio, ha tutto l’interesse a
tenere compatta la coalizione per ereditarla tutta intera col tempo. E
se il centrodestra resta compatto rappresenta il gruppo politico di
maggioranza relativa all’interno del Parlamento (265 deputati e 137
senatori contro i 227 e 112 dei 5 Stelle) sarebbe anche l’area politica a
cui spetta l’incarico di governo: e non a caso Salvini continua a dire
che lui ha tutte le intenzioni di andare a Palazzo Chigi in prima
persona. Problema: i Cinque Stelle non sosterrebbero mai un governo a
guida Salvini. La speranza di Di Maio è spaccare la coalizione di
centrodestra, ma anche così è difficilmente pensabile che la Lega
appoggi un governo presieduto da lui e, in ogni caso, che faccia a lungo
da spalla al Movimento.
E qui si torna allo stupore quirinalizio:
l’incarico a una personalità istituzionale che ha già avuto i voti di
un ramo del Parlamento è un escamotage senza tempo per uscire dalle
impasse politiche, ma con Alberti Casellati al Colle hanno tolto pure la
sempre sicura carta della seconda carica dello Stato.