lunedì 26 marzo 2018

Il Fatto 25.3.18
B. cede, eletti i presidenti. Ma ora il Colle è in difficoltà
FI si piega allo schema disegnato da Lega e M5S per le Camere Mattarella, però, si ritrova senza nomi istituzionali per il governo
di Marco Palombi


Alla fine Silvio Berlusconi china il capo e accetta quel che è inevitabile: Forza Italia ottiene una inutile presidenza del Senato per Elisabetta Alberti Casellati che strappa 240 voti su 321 ma segna pure il rompete le righe nell’ex partitone dell’ex Cavaliere.
Nella sfida a chi frena per ultimo nel centrodestra vince Matteo Salvini, che impone la linea della Lega e tiene unita la coalizione sotto il suo dominio, anche grazie ai buoni uffici dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni: ai forzisti va il Senato, ma con lo schema di gioco deciso dal Carroccio. Il risultato è l’implosione di quel che resta di Forza Italia, che rende ulteriormente la nuova Lega nazionale di Salvini il punto di riferimento per quanti nei territori vogliano ancora avere qualche speranza di poltrona a destra.
L’altro (mezzo) vincitore di questo primo atto della legislatura è il Movimento 5 Stelle, che incassa con 420 voti su 630 la presidenza della Camera e lo fa piazzando ai vertici di Montecitorio il capo della minoranza interna, Roberto Fico, da ieri ibernato nel ruolo istituzionale e di sicuro meno in grado di dare fastidio al “capo politico” Luigi Di Maio e ai suoi sogni governativi. Per ottenere l’avvio della “stagione del cambiamento”, però, i 5 Stelle ingoiano a Palazzo Madama il voto a favore della Alberti Casellati, una pasdaran berlusconiana in purezza, sodale dell’avvocato Niccolò Ghedini e sottosegretario alla Giustizia all’epoca dei lodi e delle leggi ad personam. Roba che quasi fa rimpiangere il cellulare malandrino affidato da Paolo Romani a sua figlia.
È la stessa perplessità per la biografia politica della nuova presidente del Senato che si coglie nello stupore – visti i rilievi avanzati per la candidatura di Romani – con cui ambienti vicini al Quirinale hanno registrato la notizia della convergenza di centrodestra e M5S sul nome dell’avvocata azzurra. Tanto più che l’attuale inquilino del Quirinale conosce assai bene la seconda carica dello Stato avendola avuta nel Consiglio superiore della magistratura (che presiede) fino a ieri e vista all’opera in Parlamento e nel governo fino al 2008.
Uno stupore in cui si legge in controluce il forzato addio ad una delle possibilità pure messe in conto dalla prassi costituzionale per uscire da crisi politiche particolarmente scabrose: nessuno dei due presidenti delle Camere è personalità adatta a ricevere un incarico esplorativo, nè tantomeno per un governo istituzionale. Non certo Fico, ma nemmeno la seconda carica dello Stato. Sergio Mattarella dunque, se le forze politiche non troveranno da sole il modo di far partire la legislatura creando un governo, dovrà essere particolarmente fantasioso.
Il problema è che l’asse Lega-5 Stelle con cui sono stati eletti i presidenti di Camera e Senato è una schema difficilmente replicabile per un esecutivo pienamente politico. I contatti tra i due gruppi ci sono, e non solo tra Lega e Movimento ovviamente, il problema è che le legittime ambizioni e interessi dell’una e dell’altro difficilmente si potranno conciliare in un vero governo.
Salvini, per esempio, ha tutto l’interesse a tenere compatta la coalizione per ereditarla tutta intera col tempo. E se il centrodestra resta compatto rappresenta il gruppo politico di maggioranza relativa all’interno del Parlamento (265 deputati e 137 senatori contro i 227 e 112 dei 5 Stelle) sarebbe anche l’area politica a cui spetta l’incarico di governo: e non a caso Salvini continua a dire che lui ha tutte le intenzioni di andare a Palazzo Chigi in prima persona. Problema: i Cinque Stelle non sosterrebbero mai un governo a guida Salvini. La speranza di Di Maio è spaccare la coalizione di centrodestra, ma anche così è difficilmente pensabile che la Lega appoggi un governo presieduto da lui e, in ogni caso, che faccia a lungo da spalla al Movimento.
E qui si torna allo stupore quirinalizio: l’incarico a una personalità istituzionale che ha già avuto i voti di un ramo del Parlamento è un escamotage senza tempo per uscire dalle impasse politiche, ma con Alberti Casellati al Colle hanno tolto pure la sempre sicura carta della seconda carica dello Stato.