Il Fatto 22.3.18
“La privacy per noi è l’ultimo bastione sacro della libertà”
Il regista di “The Post” e “Ready Player One”: “Sono nato prima della tv”
di Federico Pontiggia
Non
solo un blockbuster, ma “un atto di difesa dell’ultima libertà, la
privacy”: Ready Player One arriva il 28 marzo nelle nostre sale, il suo
regista Steven Spielberg è stato insignito del David di Donatello alla
carriera.
Spielberg, perché ha deciso di adattare il best-seller di Ernest Cline?
Non
leggevo qualcosa di così entusiasmante dai tempi di Jurassic Park di
Michael Crichton, ho pensato subito si potesse trarne un film popolare.
Mi ha attratto l’idea di questi due mondi, reale e virtuale: è solo
questione di anni, e pure noi avremo l’equivalente dell’Oasis creato da
James Halliday, un social network nel cyberspazio.
Anche lei è un creatore di mondi.
E
mi identifico in Halliday, con qualche differenza: io non sono
totalmente timido, soprattutto, io amo le persone, mentre lui ne ha
paura. Anch’io, poi, sono un nerd della prima ora, ma all’epoca non era
così popolare esserlo, viceversa, oggi chiunque faccia cinema sembra
voglia entrare nel club. Io ho fatto progressi, sono diventato un geek.
Forse non era nerd Stanley Kubrick, ma in Ready Player One gli tributa grandi onori. Omaggia Shining e ricrea l’Overlook Hotel.
L’Overlook
Hotel: Stanley per la prima volta l’ho incontrato lì, su quel set. I
falegnami e i pittori avevano appena finito di allestirlo, eravamo solo
noi due, nessun’altro. È nata una splendida amicizia, durata per 19
anni, fino alla morte di Kubrick.
Nemmeno tre mesi fa ha portato in sala The Post, un peana alla libertà di stampa: che cosa tiene insieme i due lavori?
Possiamo
leggere i giornali e contemporaneamente fruire un’esperienza virtuale,
innanzitutto. Io i giornali li leggo ogni mattina, di carta, voglio
poterli sfogliare. Venendo ai film, The Post è ambientato nel mondo
reale, analogico; quest’ultimo nel mondo virtuale, digitale. Per gli
effetti speciali di Ready Player One c’è voluto un anno e mezzo, un
lasso di tempo in cui ho potuto realizzare The Post.
All’ordine
del giorno c’è lo scandalo Cambridge Analytica, un’azienda di marketing
online che avrebbe utilizzato scorrettamente una mole di dati prelevati
da Facebook. Nel suo film si parla di una “evil corporation”
informatica…
La IOI, acronimo di Innovative Online Industries: una
multinazionale cattiva, che ha distrutto l’originaria purezza di Oasis
per ottenere profitti pubblicitari. Al vertice c’è Nolan Sorrento, che
cerca di acquisire il controllo del cyberspazio: Halliday l’aveva tenuto
sgombro da spot e shopping, intendendolo quale luogo di gioco,
istruzione, amicizia e amore, viceversa, Sorrento vuole inzepparlo di
cookies e assicurarsi l’Easter Egg. Un’illusione, Oasis, che la
commercializzazione manda in frantumi.
C’è un corollario fondamentale: la minaccia alla privacy.
La
distruzione della privacy mette ogni utente a nudo. Tutti desiderano
preservarla, e non stupisce: la privacy è l’ultimo sacro bastione della
libertà. E Ready Player One suona come un monito. Nel suo prevalente
intrattenimento è insito un cautionary tale, una storia ammonitrice, con
un messaggio politico: i problemi vanno affrontati nel mondo reale, nel
presente. Io ho sette figli e quattro nipoti, il primo ha già avuto lo
smartphone. Oggi anche quando i ragazzini si incontrano fisicamente è
per giocare online: si perde il contatto visivo, il contatto umano, le
emozioni vengono affidate a un emoji. Almeno in Oasis col visore non c’è
il problema di dolori al collo e cervicale, viceversa, qui stanno tutti
piegati sui telefonini.
Lei è nato nel 1946, un’altra epoca.
Sì,
sono nato BTV: Before Television. Noi avevamo la radio, e la guardavamo
pure, nel senso, osservavamo la grana della vernice. Poi sono arrivati i
primi apparecchi, la tv ha iniziato a sedurre, facendo la guerra al
cinema e inchiodando le persone a casa. Ma per me piccolo la grande fuga
dalla realtà era la letteratura.
Il David in bacheca e un film su
Edgardo Mortara in cantiere, anche Spielberg è un po’ italiano. Nel
nostro cinema qualcosa si muove sul versante femminile, Dissenso Comune
prende esempio da Time’s Up.
Io e mia moglie abbiamo finanziato
Time’s Up, fornisce alle donne vittime di abusi sessuali e ineguaglianza
di genere – che per la stragrande maggioranza non sono celebrities –
assistenza legale. Da sole non potrebbero sostenerla per cui
tacerebbero: è un’azione importante.