martedì 20 marzo 2018

Il Fatto 20.3.18
“Democratura” senza confini: lo zar e lo Stato di Putinia
di Leonardo Coen


Benvenuti a Putinia! “L’état c’est moi!”, sosteneva con superbia il Re Sole. Lo stato russo sono io, può affermare – senza mentire – zar Vladimir Vladimirovic. Uno e trino: il Putin del passato. Il Putin di oggi. E il Putin del futuro. Insomma, un Putin a oltranza.
Legittimato da 56 milioni di russi che lo hanno votato (il 76.66 per cento dei suffragi): un plebiscito, ma con il trucco. Le forti pressioni sull’elettorato, migliaia di brogli. L’appoggio della Chiesa ortodossa, che vede in Putin un prezioso alleato e il sentimento è profondamente ricambiato. I pope sono stati le stampelle putiniane nelle contrade più remote dell’impero, è un dato di fatto. Più il nazional-patriottismo. Senza dimenticare che Putin si è liberato con ogni mezzo degli avversari: avrebbero potuto rovinargli la festa e limitare la vittoria entro dimensioni più circoscritte. Putin, stavolta, non poteva permettersi un risultato normale: aveva bisogno di un voto clamoroso, per dimostrare soprattutto agli amici del Cremlino che i russi lo vogliono e che è lui il più forte, spazzando via ogni congettura sull’ipotesi di una successione programmata.
Lenin scrisse “Che fare”, ponendo le basi teoriche per organizzare il partito rivoluzionario, alla cui testa porre l’avanguardia (della classe operaia). Putin ha aggiornato il metodo leninista: la sua avanguardia è la cricca di cui si circonda, i sodali di San Pietroburgo (non a caso lui e i suoi sono chiamati i “piters”). La struttura del potere è quella che si esercita con “la verticale del potere”. Sotto l’occhio vigile del capo del Cremlino e dei suoi più fedeli e stretti collaboratori. È il motore della democratura, parola coniata dai politologi francesi per descrivere un regime che miscela un po’ di democrazia liberale e un po’ di dittatura.
Cos’è? Secondo Anastasia Kirilenko e Nicolas Tonev, noti giornalisti investigativi russi in esilio, “è un sistema mafioso che gestisce e cancrenizza il Paese”. Per Garry Kasparov e decine di oppositori è “la più grave minaccia alla democrazia e ai valori occidentali che esistono oggi nel mondo. Il potere di Putin come leader della Russia è basato sulla paura, il mistero e la propaganda. Putin ha esercitato la violenza come strumento chiave nel plasmare un sistema che gli conferisce potenza e ricchezza ineguagliabili, sia in Russia che a livello mondiale”.
La democrazia liberale è un ostacolo al potere degli uomini forti (come Putin) e agli interessi di chi li sostiene (gli oligarchi e i siloviki, gli uomini della forza: servizi, militari, strutture ministeriali, polizia, dogane). Così, si è plasmata una democrazia a bassa intensità in cui il regime politico formalmente si attiene alle regole della democrazia, mentre nella pratica le elude, ispirandosi a un autoritarismo sostanziale. Questa strategia, però, ha una necessità: richiede un centro di potere progressivamente sempre più forte e centralizzato, nonché misure capillari di controllo. Dei cittadini, in nome della sicurezza nazionale. E dell’amministrazione, in nome dell’autonomia nazional-patriottica.
Il Putin del passato ha raggruppato le 89 entità federali in sette distretti amministrativi governati da rappresentanti nominati direttamente da lui, ai quali sono concesse “prerogative estese”. Così tiene saldamente in mano la periferia dell’impero. Prima di Putin, i governatori venivano eletti. Oggi vige una legge (ancora) non scritta che ammonisce: “Sii un buon russo e taci”.