Corriere 20.3.18
Russia e Cina
I «gemelli» del potere
di Danilo Taino
Una
domanda corre in queste ore nelle cancellerie di mezzo mondo: «Putin
forever?». Putin per sempre? Nei giorni scorsi, invece, ai governi è
arrivata anche una notizia secca: «Xi Jinping forever!». Ieri, i due
leader si sono scambiati congratulazioni per le reciproche riconferme al
potere.
Il presidente russo resterà in carica almeno fino al
2024, dopo essere stato rieletto da una maggioranza notevole di
connazionali. Il presidente cinese rimarrà al suo posto fino al 2023 ma
potrà ricandidarsi (ed essere confermato) fino a quando vorrà. Gli
uomini forti delle due potenze dell’Eurasia da questo punto di vista
sono gemelli: nessuno minaccia la loro posizione e il loro potere.
Qualche
similitudine c’è anche nel loro sistema di controllo politico
domestico. La Russia è ormai a tutti gli effetti un regime autoritario,
dominato da un clan di oligarchi e funzionari che trova il suo punto di
equilibrio e di guida in Putin. Le elezioni le manipolano — perché i
russi si sono abituati a votare e tornare indietro formalmente non si
può — e per i successivi sei anni gestiscono, quasi senza controllo e
contropotere, la vita del Paese: nell’economia, nei media,
nell’esercito, nei tribunali, nei servizi segreti, nelle prigioni. La
Cina è una dittatura in cui il clan di vertice è la cupola comunista e
dove ragion di Stato e di partito coincidono: dalla fine degli Anni
Settanta del secolo scorso, il capitalismo centralizzato funziona ma i
diritti civili continuano a non esistere, le elezioni inutili. A Mosca
la democrazia è «gestita» e manipolata, a Pechino non c’è.
La
terza somiglianza tra Putin e Xi sta nel fatto che entrambi stanno
stringendo il controllo sull’apparato di potere. Il presidente della
Duma russa, Vyacheslav Volodin, sostiene che «senza Putin la Russia non
esiste». Nel tempo (è al potere dal 2000), il leader ha messo fuori
gioco l’élite politica di tendenze democratiche e si è circondato di
tecnocrati e oligarchi senza particolari convinzioni ideologiche ma
interessati alla conservazione del potere. Xi ha cambiato la
costituzione cinese, ha abrogato il limite di due mandati da presidente e
ora potrà essere nominato potenzialmente a vita come capo dello Stato,
oltre che del partito. In più, la sua campagna contro la corruzione gli
ha permesso di eliminare gli avversari e di costruire attorno a sé un
apparato fedele.
Le somiglianze finiscono però qui. Due enormi
differenze separano Putin e Xi, Mosca e Pechino. Entrambe fondamentali
per capire le due potenze oggi. Innanzitutto, l’economia della Russia è
debole, quella della Cina è fortissima. Il Prodotto interno lordo della
federazione russa — il Paese più vasto del pianeta — è inferiore a
quello dell’Italia. La dipendenza dal settore energetico e dalle materie
prime rimane elevatissima. La capacità d’innovazione è bassa nonostante
l’abbondanza di intelligenze, segno dell’ingessatura del sistema. La
ricchezza prodotta è in misura notevole dirottata verso la cerchia del
potere e solo in parte arriva ai cittadini comuni. Le sanzioni
dell’Occidente seguite all’annessione della Crimea finora non hanno
colpito Putin ma certamente non hanno aiutato l’economia.
La Cina
invece continua a crescere tra il sei e il sette per cento l’anno. La
sua economia è già la prima del mondo se misurata in termini di parità
di potere d’acquisto. Gli squilibri interni e la corruzione sono forti
ma finora i vertici del partito hanno dimostrato una grande abilità nel
gestire le crisi reali e quelle possibili. L’efficienza del dirigismo
statale è quel che ha permesso al vertice del partito di negare le
libertà civili e democratiche in cambio dell’aumento del benessere. Ciò
proietta l’idea di una non lontana egemonia cinese globale: se si guarda
alla forza digitale, gli Stati Uniti sono vicini a un «Sputnik Moment»,
la sorpresa con cui si accorsero che l’Unione Sovietica era più
avanzata nella gara nello spazio.
La seconda differenza, legata
alla prima, sta nella politica estera dei due leader e dunque nel futuro
dei due Paesi. Proprio perché non ha una narrazione forte in economia,
Putin esporta conflitti o la partecipazione in essi, dalla Crimea alla
Siria all’Ucraina. E si affida, sempre come arma di politica
internazionale, al polonio e ad agenti chimici nervini. Poco attraente.
La Cina è invece in una fase di conquista di consensi internazionali per
il suo modello di capitalismo autoritario, efficiente e non frenato dai
lacci della democrazia. E lo accompagna con il rafforzamento militare,
soprattutto in mare, ma anche con la costruzione di un portentoso
corridoio di infrastrutture tra la madrepatria e l’Europa, via Asia
centrale e Medio Oriente, la Belt and Road Initiative che prevede la
costruzione di strade, ferrovie, porti e rotte marittime. Gemelli in
autoritarismo ma separati dal futuro.