Il Fatto 1.3.18
Via dall’Afghanistan, almeno risparmiamo
di Massimo Fini
L’Emirato
islamico d’Afghanistan (vale a dire i Talebani), che si considera
tuttora il governo legittimo di quel Paese essendone stato spossessato
da un’invasione straniera, attraverso una lettera aperta indirizzata
direttamente al “popolo americano” ha proposto agli Stati Uniti di
avviare un negoziato per arrivare finalmente alla pacificazione in una
terra che non conosce tregua da quasi quarant’anni, se si escludono i
sei e mezzo in cui fu governata dal Mullah Omar.
È difficile
immaginare che gli americani accettino di trattare (del resto un niet è
già arrivato dalla Nato) stretti come sono fra un malposto orgoglio
nazionale e il proprio totalitarismo ideologico. La guerra afghana è
infatti ormai puramente ideologica non essendoci evidenti interessi
economici – al contrario – e nemmeno strategici, a differenza di quello
che avviene nell’Estremo Oriente dove l’obbiettivo Usa è di tenere Seul
in perenne conflitto con Pyeongchang, in funzione essenzialmente
anticinese, mentre le due Coree potrebbero tranquillamente convivere in
modo sereno come hanno dimostrato le recenti Olimpiadi invernali.
Eppure
dalla fine della guerra all’Afghanistan gli americani hanno solo da
guadagnare. 1. Soldi innanzitutto. Gli Stati Uniti infatti vi spendono
45 miliardi di dollari l’anno. Donald Trump, che è molto attento ai
quattrini del ceto medio americano (“America first” vuol dire
innanzitutto questo) dovrebbe rifletterci.
Che senso ha continuare
a spendere soldi in una guerra che gli stessi strateghi e think tank
americani ammettono che “non può essere vinta”? E invece “the Donald”,
che per il resto ha sconfessato pressoché in tutto la politica del suo
predecessore, in questo caso ha seguito la linea Obama inviando in
Afghanistan altri 4.900 uomini. 2. L’Isis, nonostante le sanguinose
sconfitte di Mosul e Raqqa e l’eliminazione di un proprio territorio, è
ritenuto ancora, e con ragione, una grave minaccia, tanto che non c’è
riunione fra presidenti o ministri degli Esteri o degli Interni degli
Stati che non appartengono alla galassia sunnita in cui il terrorismo
jihadista non sia uno dei temi in discussione e non c’è incendio o
esplosione di un caseggiato, con tutta evidenza casuali, di cui non ci
si affretti ad affermare che il terrorismo internazionale non c’entra,
così forte è la paura che la sua sola esistenza ci ha messo addosso.
Bene,
i Talebani, pur sunniti, in Afghanistan combattono l’Isis e riescono
per ora a fare argine. Ma la cosa non può durare a lungo, perché i
Talebani, stretti fra gli occupanti occidentali e i guerriglieri che si
richiamano al Califfato di Al Baghdadi, perdono terreno rispetto ai
jihadisti, come dimostrano alcuni recenti attentati a Kabul targati
Isis. E così, a loro volta, per riaffermare la loro supremazia sono
costretti a incrementare gli attacchi agli obbiettivi militari
occidentali (quattro solo nell’ultima settimana con un bilancio di 23
morti fra i soldati del governo fantoccio di Ashraf Ghani sostenuto
dagli Stati Uniti).
Ma potrebbe anche accadere – e ce ne sono già
le avvisaglie – che i Talebani finiscano per allearsi con Isis, invece
di combatterlo, considerandolo il male minore rispetto agli occupanti
occidentali. L’Isis ne uscirebbe quindi enormemente rafforzato. Questo
Putin l’ha capito benissimo riconoscendo ai Talebani lo status di
“movimento politico e militare” e quindi non terrorista. Non si capisce
perché gli americani non possano fare lo stesso accettando di trattare
con gli emissari dell’Emirato islamico d’Afghanistan e ponendo così fine
a una guerra che ha causato centinaia di migliaia di vittime civili, di
persone contaminate dai proiettili all’uranio impoverito, di bambini
nati per lo stesso motivo deformi, e che non giova a nessuno se non,
appunto, al terrorismo internazionale che, battuto per ora in Medio
Oriente, ritrova vigore in Asia Centrale e da lì, oltre alla Russia, può
ritornare a colpire in Europa e negli stessi Stati Uniti.
In
quanto a noi, che in quel Paese manteniamo 900 soldati, i cinquestelle
hanno promesso in campagna elettorale che se andranno al governo
ritireranno dall’Afghanistan il nostro inutile contingente che ci costa
475 milioni l’anno.
Con 475 milioni non si risanano certo le
malandate finanze del nostro Stato, ma almeno il ritiro
dall’Afghanistan, il rifiuto di fare gli eterni servi sciocchi degli
americani, oltre che un dovere morale, sarebbe anche una prova, sia pur
su un aspetto apparentemente minore, della credibilità dei “grillini” e
dei loro programmi.