Il Fatto 18.3.18
Il Nobel infangato dai crimini di Lady Birmania
Aung San Suu Kyi - L’ex paladina dei diritti umani da primo ministro sposa la politica dei generali
di Antonio Carlucci
Ogni
giorno che passa l’eroina della democrazia del Myanmar, il premio Nobel
per la Pace, Aung San Suu Kyi, è sempre meno l’icona che è stata
dipinta quando era all’opposizione di un governo militare e parlava di
diritti negati e di democrazia esponendo così se stessa all’esilio, agli
arresti, alla persecuzione dei suoi figli cui veniva negata anche la
cittadinanza perché il padre non era birmano.
Adesso che è al
potere, premier di fatto e allo stesso tempo ministro degli esteri, Aung
San Suu Kyi appare in sintonia con i militari con i quali governa, e
politicamente non indipendente dalla cultura dei generali. Lo ha
dimostrato chiaramente con le posizioni assunte rispetto alla tragedia
del popolo Rohingya, centinaia di migliaia di uomini donne e bambini di
religione islamica, cacciati dal paese, vittime di stupri di massa da
parte dei militari e di civili di religione buddista.
Suu Kyi,
nelle poche parole dette in pubblico sulla questione ha negato la
situazione, pur ribadendo: “Noi condanniamo tutte le violazioni dei
diritti umani e le violenze” e attribuendo l’origine dei fatti alle
attività dei gruppi armati creati dai Rohingya.
Questo approccio
di chiusura a riccio nella difesa del potere costituito è apparso ancor
più visibile quando due giovani giornalisti birmani, Wa Lone Kyaw Soe
Oo, sono stati arrestati a dicembre scorso in base a una legge che
risale ai tempi del colonialismo inglese – l’Official Secret Acts – e
sono attualmente in carcere e sotto processo. I due hanno realizzato un
reportage esclusivo, pubblicato dalla Reuters, sulla scoperta di fosse
comuni con una quindicina di cadaveri in un villaggio Rohingya, con le
testimonianze di un attacco di militari e civili e dei corpi fatti
sparire. Aung San Suu Kyi non ha detto una sola parola sulla vicenda.
Strano,
perché solo pochi anni fa per una vicenda simile (giornalisti arrestati
e condannati a 10 anni in base all’Official Secret Acts perché avevano
raccontato come i militari birmani costruissero armi chimiche in una
fabbrica da loro controllata) il premio Nobel per la pace aveva
giudicato “assolutamente esagerata” quella condanna. Stando a quanto
pubblicato dal quotidiano Irrawady a proposito di una manifestazione di
protesta del luglio 2014 durante a quale Suu Kyi aveva preso la parola,
lei disse: “È discutibile che il diritto dei giornalisti di raccontare i
fatti venga sottoposto a controllo”. Concludendo: “Non è che io rifiuti
i timori riguardo alle questioni sulla sicurezza nazionale, ma in un
sistema democratico la sicurezza deve trovare un punto di equilibrio con
la libertà”. Parola sagge, atteggiamento fermo nella difesa dei diritti
democratici e al tempo stesso del diritto di uno stato a tutelarsi. Ma
quello era il tempo dell’opposizione, Aung San Suu Kyi non aveva ancora
vinto le elezioni del 2015 e non era premier e ministro degli esteri.
Adesso
che guida un governo dove i militari occupano molte poltrone, non una
parola sull’equilibrio da trovare tra diritto all’informazione e tutela
della sicurezza dello stato. Men che mai un sospiro sul fatto che una
legge di origine coloniale sia ancora in vigore.
Per sapere che
cosa pensa la premier birmana dell’arresto dei giornalisti in carcere
c’è voluto il racconto dell’ex governatore del New Mexico, Bill
Richardson, che era stato chiamato dal governo di Yangoon a far parte di
una commissione che si doveva occupare dei problemi dello stato del
Rakhine, l’area dove i Rohingya vivono.
Richardson ha detto di
aver posto la questione dei giornalisti alla premier durante un
incontro. La sua reazione? “È esplosa”. Con il risultato che subito dopo
a Richardson è stato tolto il gradimento “perché aveva anteposto la sua
agenda a quella del Myanmar”. Capita spesso di invocare i diritti
quando ti vengono negati e negarli agli altri quando sei al potere.
Capita anche a un premio Nobel per la pace protetta e coccolata
dall’Occidente come l’eroina del sud est asiatico. Ma era tanto tempo
fa. Oggi è tutta un’altra storia.