domenica 18 marzo 2018

Il Fatto 18.3.18
Moro fu ucciso dalle Br, punto. Ma non basta
di Antonio Padellaro


Devo fare una pausa nel mio lavoro di ricerca, sono soffocato dal disgusto per la tenacia con cui la destra, quella vera, che in Italia non si contava e non si è mai contata alle elezioni, ha perseguitato con il suo fango e con il suo immaginario mortuario il politico Aldo Moro
Marco Damilano: “Un atomo di verità”. Feltrinelli.
Obiettivo: la resa incondizionata di Morucci e Faranda. Si sarebbero in qualche modo consegnati, offrendo un elenco di novantaquattro brigatisti da “bruciare” e la disponibilità a concordare una versione dei fatti gradita agli apparati istituzionali, in cambio dei benefici previsti dalla legislazione premiale per i terroristi “dissociati”. E così avvenne.
Giovanni Fasanella: “Il puzzle Moro”. Chiarelettere.
A rapire e a uccidere Aldo Moro furono le Brigate Rosse, punto. Ma non basta. Poiché esiste un prima, un durante e un dopo la strage che il 16 marzo di quarant’anni fa ha cambiato la storia italiana e la vita della nazione. Dedichiamo perciò queste poche righe ai libri (appena pubblicati) di due giornalisti che, da angolazioni diverse, hanno pazientemente scavato nelle macerie della memoria perduta per poi ricostruire dalle fondamenta la genesi di un delitto politico che per la sua forza dirompente può essere paragonato all’assassinio di John Kennedy. Addentrarsi nelle pagine scritte dal direttore dell’“Espresso” è come percorrere le stanze di un appartamento seguendo una sottile scia di sangue. Ho sostato a lungo nella sala dell’odio politico e mi sono segnato questa frase dell’ex brigatista Mario Moretti: “Stavamo processando Moro, santo cielo, con gli argomenti che erano stati di tutta la sinistra ma la destra è stata la beneficiaria dell’eliminazione di Moro. La destra che lo odiava, quando è venuto meno non ha più trovato ostacoli”. È un’ammissione cruciale che sembra confermare l’impressione del terrorismo “utile idiota” di forze molto più potenti. E ciò, senza stupidi complottismi o inutili dietrologie ma con la semplice verità dei fatti, ci aiuta a comprendere come quell’Italia orrenda non potesse in nessun modo accettare che personaggi come Moro e Pier Paolo Pasolini (massacrato tre anni prima) liberassero con le armi della politica e della cultura, il nostro Paese dalla cappa bigotta, reazionaria, ottusa, servile che lo soffocava. È quello che Umberto Eco ha definito fascismo eterno. È quello che ancora oggi continua ad avvelenare i pozzi, con altri mezzi e altre vesti. Le loro menti dovevano smettere di funzionare, proprio come Mussolini disse di Antonio Gramsci. Un odio che non avendo potuto “uccidere” l’energia creatrice di Pasolini, accusandolo delle peggiori perversioni, alla fine lo tolse fisicamente di mezzo. Un odio che aveva aggredito Moro fin dal luglio del 1960 quando, ricorda Damilano, “da segretario della Dc aveva bloccato il tentativo autoritario di Fernando Tambroni sostenuto dal Movimento sociale”. E, “quando nel 1964 cadde il primo governo Moro, nell’estate in cui l’Italia rischiò un colpo di Stato militare, “il Tempo” di Renato Angiolillo lo salutò così: “Con la tecnica molle, scivolosa e viscida di una piovra per quattro anni egli è andato avanti flaccido e cascante, come un piccolo visir, cupo, funereo, spargendo il suo cammino di cadaveri e rovine…”. Che poi all’Italia di quegli anni, fondamentale cerniera tra l’Est sovietico e l’Ovest a guida Usa, non fosse concesso di svolgere un ruolo autonomo nel Mediterraneo e in Medio Oriente, che il pericolo da eliminare fosse il ruolo e l’influenza di Moro e Berlinguer sulla politica estera di Roma emerge con chiarezza nel libro di Fasanella e dai documenti inglesi e americani desecretati. Stretto in questa morsa micidiale, il leader democristiano aveva un destino segnato. Se quindi la domanda è perché lo hanno ucciso la risposta sarà: perché non potevano farlo vivere. Le Br arrivano dopo.