Il Fatto 16.3.18
Astensione: la maledizione di Navalny sullo zar
Russia - Il Cremlino promette di cacciare i diplomatici britannici per ricompattare le fila degli elettori
di Michela A.G. Iaccarino
“Absolutelno”.
Il ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov ha usato questa parola:
assolutamente. Mosca è pronta a espellere i diplomatici britannici.
“Presto. Lo prometto”, ha detto ai giornalisti, ma soprattutto al primo
ministro britannico Theresa May. Con il caso dell’avvelenamento dell’ex
spia del Kgb siamo “oltre la decenza elementare”.
Per Lavrov
“questa storia riflette la disperazione del governo britannico, che non
può mantenere le promesse fatte alla popolazione e abbandonare l’Ue”. I
vicini europei dovrebbero evitare “le tendenze russofobiche americane,
sanzioni e provocazioni” e poi, tanti auguri di buona guarigione a
Serghey Skripal: “Lui e sua figlia sono vivi, spero che si riprendano e
spieghino la situazione”.
Dicono al Cremlino che la “campagna
anti-russa” a Londongrad è cominciata, sono “perplessi”, “mancano le
prove”, non hanno risposte alle loro richieste di collaborazione dalla
May, “quella che parla come una casalinga di questioni internazionali”,
ha detto Edward Limonov. Per l’eroe e antagonista di se stesso del
romanzo di Carrere, quella di Skripal è “una messa in scena, non lo
avrebbero liberato se fosse stato pericoloso, col nervino si muore in
pochi minuti, lui è ancora vivo”.
Per molti a Mosca Skripal è solo
quello che ha tradito dozzine di agenti russi vendendoli
all’intelligence britannica fino al 2004. Per la prima volta dalla
Seconda guerra mondiale un gas nervino è stato usato su suolo europeo.
“Appunto, europeo, britannico, che c’entriamo? Se sanno capire che è
Novichok, hanno la formula e potevano farselo da soli” dicono alla metro
Smolenskaya. Siria, Ucraina. “Ora si è aggiunta la Britannia, è una
bombardirovka di news, ma sempre dalle stesse parti del mondo: ovest.
Qualsiasi cosa succede è sempre la Russia vynovata, colpevole. Provano
ad indebolirci a due giorni dalle elezioni”.
Nella metro i
megafoni informano: “cittadini, domenica 18 marzo si vota per scegliere
il presidente, il futuro del paese”. Non è una coincidenza. Nello stesso
giorno 4 anni fa è stata annessa la Crimea, dove Putin è andato due
giorni fa. In ogni angolo di Mosca i cartelloni bianchi con la bandiera
russa dicono in blu “scegliete il presidente, scegliete il futuro”.
Non
dicono chi: solo andate a votare. L’ultimo report di Amnesty è di ieri:
Mosca sta “deliberatamente” mettendo dietro le sbarre l’opposizione che
chiede di boicottare le elezioni.
L’ultimo video del blogger
dissidente Navalny è apparso a ora di pranzo: “Elettori, non mi rivolgo a
voi, ma agli insegnanti, che falsificano i risultati delle elezioni già
da molti anni. Guadagnate 250 dollari al mese, lo fate per chi vi rende
poveri”. La domanda non è chi voteranno i russi, ma quanti: la vera
incognita di Mosca, la preoccupazione in cima alle guglie del Cremlino è
l’affluenza. Il Vciom, istituto sondaggi vicino al governo, la prevede
al 79,3%, ma alle ultime elezioni parlamentari 2016 il record storico
dell’affluenza più bassa di sempre è stato battuto: meno del 48% dei
russi è andato alle urne.
Qualcuno controlla sullo smarphone le
nuove contromisure americane appena varate a Washington. “Sto za
sankzij?”, che sono le sanzioni? Mosca è stanca di sentire questa
parola, ha imparato a deriderla. Alla metro Park Kultury Masha e Dyma
voterebbero Putin, “se ne avesse bisogno, se non avesse già il 70%”.
Loro questo weekend però andranno nella dacia in campagna. Perché la
guerra sarà pure fredda, ma Mosca lo è di più.