domenica 11 marzo 2018

Il Fatto 11.3.18
La globalizzazione e la vecchia sinistra da “ricostruire”
di Giorgio Meletti


Susanna Camusso ci spiega che la sua Cgil è in piena salute, gli iscritti votano però Lega e M5S e perciò il prossimo congresso dovrà contribuire alla “ricostruzione della sinistra”. È la sintesi perfetta del marasma di un ceto obnubilato da disguidi esistenziali personali. Fa eccezione l’onesta ammissione di Pier Luigi Bersani: “Abbiamo visto il problema ma non abbiamo trovato la soluzione”. È un buon punto di partenza, ma la soluzione nessuno la trova perché nessuno la cerca. Lo scontro politico tra il partito della competitività (Pd-Forza Italia), quello della protezione sociale (M5S) e quello intermedio del protezionismo economico (Lega) elude la vera questione e parla d’altro.
Qual è il problema? Ci stiamo impoverendo e la razza italiana, dopo 200 anni di arricchimento ininterrotto, non ha le parole (se poi pensi che la scuola serva a formare tornitori ti meriti che ti crolli il mondo addosso e tu non sappia dare un nome a ciò che ti accade). Vent’anni fa il Pil nominale della Cina e dell’Italia erano alla pari. Da allora quello cinese si è decuplicato, il nostro non è nemmeno raddoppiato e, al netto dell’inflazione, è fermo. Vanno a gonfie vele le economie delle ex colonie a spese delle quali ci siamo arricchiti per secoli. Si chiama globalizzazione, pensata per sfruttare meglio i selvaggi senza prevedere il rinculo. L’Italia è la prima vittima (l’Europa seguirà) perché penalizzata da un’oligarchia cleptomane di imprenditori e politici. Mancano sei milioni di posti di lavoro e nessuno sa come crearli.
La globalizzazione mette in crisi il capitalismo stesso ma la nostra cultura provinciale si occupa di qualche miliardo di spesa statale. L’anima sovranista incarnata da Matteo Salvini dà la colpa all’euro e vuole difendere i posti di lavoro con i dazi e lo stop all’immigrazione. Il renzismo recita il mantra della competitività, bassi salari e incentivi alle imprese. Se altri popoli ci affamano producendo a costi inferiori, per tornare alla prosperità dovremmo riportare loro alla fame. Ma se la posta in gioco è chi mangia e chi no la competizione porta prima alle guerre commerciali alla Trump e poi alla guerra vera e propria, non certo alle photo opportunity con Marchionne. Le politiche redistributive che il M5S incarna nel reddito di cittadinanza funzionano solo nell’arricchimento, la redistribuzione con redditi calanti, ammesso che abbia senso, si chiama imposta patrimoniale. Vedete come nessuna delle proposte in campo intacchi il tema della competizione all’ultimo sangue in un mercato unico nel quale Internet e il crollo del costo dei trasporti hanno eliminato l’ultima barriera, la distanza. Però proposte semplici e concrete, anche se sballate o illusorie, hanno attratto voti.
Solo la sinistra di Liberi e Uguali non ha proposto niente. Ha mandato in tv un magistrato in pensione a predicare uguaglianza, sano principio che senza un programma politico sembra però più adatto al televoto del Grande Fratello. Eppure solo a sinistra può svilupparsi un pensiero in grado di indicare la strada. Il pensiero liberista non può e non vuole vedere la crisi profonda del capitalismo. Enrico Berlinguer, 35 anni fa, propose il “governo mondiale” come sbocco della globalizzazione (la chiamava “moto di emancipazione dei popoli del terzo mondo”). L’ultimo leader fu archiviato in fretta da epigoni sedicenti moderni, carrieristi avvolti nella bandiera del conformismo. Se le cariatidi intente da trent’anni a “ricostruire la sinistra” (ma attente solo alle loro poltroncine) togliessero il disturbo, l’Italia potrebbe puntare a una vera eccellenza: siamo i primi a subire i colpi della globalizzazione, potremmo essere i primi a vedere la via d’uscita. La prima a sinistra.