Il Fatto 10.3.18
Reddito di cittadinanza. Costi e sfide del piano M5S
L’assalto ai Caf dopo il voto era una bufala
di Stefano Feltri
La
notizia dell’assalto ai Centri di assistenza fiscale (Caf) per chiedere
i moduli per il reddito di cittadinanza all’indomani delle elezioni era
falsa. Come ha ricostruito il sito Valigia Blu, l’articolo della
Gazzetta del Mezzogiorno era infondato: l’assalto dei questuanti a
Giovinazzo erano in realtà “4-5 persone”, ha chiarito il sindaco del
Comune vicino Bari. Ma a livello nazionale c’è solo un aumento di
richieste ai Caf di calcolo dell’Isee, l’indicatore reddituale e
patrimoniale che è uno dei parametri previsti dal disegno di legge del
Movimento Cinque Stelle che giace al Senato dal 2013, la proposta di
introdurre un reddito di cittadinanza (in realtà riguarda chi è sotto la
soglia di povertà relativa e non l’intera cittadinanza). L’interesse
sul tema è alto, come dimostrano le ricerche su Google e il picco di
ascolti dei talk show che ne discutono. Vediamo allora se e quanto è
realizzabile.
L’INTERVENTO. Il progetto M5S prevede di integrare
il reddito di ogni italiano sotto i 780 euro fino a quella soglia. Chi è
senza reddito riceve 780 euro, chi ne prende già 700, per esempio,
soltanto 80. In media il trasferimento dovrebbe essere 480 euro a
famiglia (dice Istat). Due genitori a zero reddito e con due figli a
carico ricevono 1663 euro. Secondo i Cinque Stelle, coprire l’intera
platea di beneficiari potenziali (5 milioni di famiglie, 10 milioni di
persone) costa 15 miliardi, secondo Inps e LaVoce.info 29: i 15 miliardi
derivano da simulazioni Istat che attribuiscono alle famiglie
proprietarie di casa un reddito fittizio equivalente all’affitto che
potrebbero incassare dall’immobile, così da equiparare proprietari e
inquilini. Ma i proprietari di casa senza reddito nello schema del M5S
avrebbero comunque diritto al sussidio. Introdurre subito il reddito per
tutti è impossibile, si può invece procedere per gradi, allargando la
platea di beneficiari progressivamente come sta facendo il governo
Gentiloni con il Reddito di inclusione (Rei) che nel 2018 arriverà a
coprire 700mila famiglie in povertà assoluta per un costo di 2 miliardi e
un sussidio medio di 240 euro.
LE COPERTURE. In campagna
elettorale i Cinque Stelle hanno indicato le seguenti fonti di risorse:
taglio 5 miliardi di agevolazioni fiscali e 2,5 miliardi di non meglio
precisati “tagli agli sprechi”, in totale 7,5 miliardi. Il resto sarebbe
finanziato in deficit, con il permesso della Commissione europea grazie
a un trucco contabile: i beneficiari del reddito di cittadinanza
risulterebbero tutti disoccupati, mentre molti oggi sono classificati
come inattivi. Un tasso di disoccupazione più alto, secondo i parametri
Ue, consente di fare più deficit. Ma questo approccio non è mai stato
validato da Bruxelles e il suo corollario – il deficit poi si riduce
progressivamente grazie all’aumento del Pil innescato dal sussidio – è
tutto da dimostrare. Nel disegno di legge 2013 erano indicate altre
coperture, poi aggiornate, non molto dettagliate (esempio: 2,5 miliardi
“centralizzando gli acquisti della pubblica amministrazione”) o quasi
impossibili da ottenere dal governo (taglio degli stipendi dei
Parlamentari, di competenza delle Camere, risparmio su organi
costituzionali). In un approccio graduale, però, le coperture non sono
il punto decisivo: si assegna il reddito a una platea compatibile con le
risorse disponibili.
ASSISTENZIALISMO? Il reddito di cittadinanza
è legato alla ricerca attiva di un lavoro, non è un sussidio di mera
assistenza. Il piano si regge sui centri per l’impiego che devono
aiutare i disoccupati a trovare lavoro. Oggi hanno un organico di 6.000
persone contro le 80.000 della Germania, Paese di riferimento per le
“politiche attive” del lavoro. I Cinque Stelle vogliono investire 2
miliardi di euro per potenziarli, da aggiungere al costo complessivo del
reddito. Ma questo ridurrebbe di poco il divario con la Germania: nel
2015 l’Italia investiva in politiche attive 752 milioni l’anno, la
Germania 11 miliardi (dati Adapt). Chi beneficia del reddito non può
rifiutare più di tre offerte di lavoro, ma se i centri per l’impiego
sono poco efficienti (fino a 24 mesi solo per valutare un profilo) o non
hanno offerte di lavoro adeguate da sottoporre, il disoccupato riceverà
il sussidio per anni prima di ricevere una proposta di impiego. E molti
dei potenziali beneficiari oggi sono completamente fuori dal mercato
del lavoro: casalinghe, giovani senza qualifiche, disoccupati di lunga
data. Vanno riattivati grazie a progetti di “agenzie formative
accreditate” pagate dallo Stato ma autonome che dovrebbero rendere i
lavoratori adatti alle richieste delle aziende. Un tentativo dai
risultati incerti, soprattutto nei territori più depressi dove ci sono
poche opportunità. Il flop dell’assegno di ricollocazione – solo 3.000
su 30.000 aventi diritto hanno usufruito del sussidio e del programma
personalizzato per riqualificarsi – dimostra che non basta lanciare una
misura per assicurarsi che funzioni.
RIFORME. Come si vede con il
Reddito di inclusione (Rei), una delle sfide è poi il coordinamento tra
le varie amministrazioni coinvolte: erogare un sussidio condizionato
significa coordinare l’Inps che gestisce i soldi, le Poste che erogano
le carte di pagamento o i contanti, i Comuni che gestiscono assistenti
sociali e verificano i requisiti, l’agenzia per le politiche attive
(Anpal), l’Inapp che monitora i risultati, i centri per l’impiego, le
agenzie di formazione. Uno sforzo titanico che dovrebbe combinarsi alla
riforma degli altri sussidi e ammortizzatori sociali per evitare
duplicati e ridondanze. Ma Luigi Di Maio, al Mattino, ha dichiarato che
“in una prima fase il reddito di cittadinanza procederà su un binario
separato, l’obiettivo finale, che sarà raggiunto per gradi, è però il
superamento degli attuali ammortizzatori sociali”. E questo aumenta la
necessità di risorse finanziarie.