giovedì 22 marzo 2018

De Cesare sul libro di Roberto Esposito in uscita «Politica e negazione»
Corriere 22.3.18
Elzeviro Il saggio (Einaudi) di Esposito
La politica deve tornare propositiva
di Donatella Di Cesare


Che cosa vuol dire negare? Il «non» che compare così spesso nelle frasi quotidiane della lingua ha un valore esistenziale oppure solo logico-linguistico? Il tema della negazione attraversa tutta la filosofia da Parmenide fino alle odierne analisi logiche. Si potrebbe anzi dire che ne costituisca uno degli assi portanti. E se la negazione appare tradizionalmente secondaria rispetto all’affermazione, non mancano quei filosofi che ne riconoscono invece l’originarietà.
Nel suo ultimo libro Politica e negazione. Per una filosofia affermativa (Einaudi, pagine 207, e 22), complesso e stimolante, che si articola lungo un cammino già per molti versi familiare all’autore, Roberto Esposito accoglie la sfida difficile di trovare un nuovo nesso tra politica e negazione, per cercare una via propositiva e affermativa. Tema, dunque, scottante. L’intento è quello di uscire dall’impasse che ha segnato il Novecento portando ai crimini epocali, primo fra tutti quello dello sterminio.
Così, insieme alla paradigmatica logica amico-nemico di Carl Schmitt, questa volta Esposito riprende in parte anche la riflessione sviluppata da Heidegger nei Quaderni neri , e cioè il problema, dibattuto in questi ultimi tre anni, dell’annientamento, o meglio, dell’autoannientamento. Si ricorderanno infatti le parole che hanno rotto per sempre il silenzio di Heidegger sulla Shoah (è stato il «Corriere» a pubblicare in anteprima mondiale quei passi divenuti celebri). La negazione dell’altro assume un valore ontologico, diventa annientamento, al punto da presentarsi come autoannientamento. «Gli ebrei si sono autoannientati», questa l’interpretazione scioccante che Heidegger dà della Shoah. La negazione che trionfa è quella che porta il nemico ad autodistruggersi.
Se la negazione è «innegabile», occorre però — così suggerisce giustamente Esposito — uscire dall’impasse novecentesca che pesa ancora sulla politica, incapace di concepirsi se non a partire da un nemico esterno assoluto. È la politica del contro che non sa proporre. Serbare la negazione si può e si deve, evitando ogni esito estremo, ma anche ogni deriva nichilistica. Più che seguire la pista aperta da Platone, che nel non-essere vede l’essere altro (pista fin troppo frequentata nella filosofia contemporanea), Esposito guarda ai classici del pensiero politico, in particolare a Hobbes, che nello Stato moderno individua quell’atto creativo in grado di annullare il negativo, cioè lo stato di natura, che lo precede. Ma un ruolo di primo piano spetta, nell’ultima parte del libro, da un canto a Deleuze, pensatore della differenza, dall’altro a Foucault che ha saputo scorgere i meccanismi diffusi del micropotere.
Come contrastare il negativo senza negarlo? Assumere la negazione in piccole dosi immunitarie, far sì che sia opposizione tra positivi, determinazione: ecco l’indicazione che Esposito offre nelle ultime pagine a un pensiero che affermi e non neghi. L’autore di Communitas. Origine e destino della comunità (Einaudi, 2006), che ha segnato certamente un prima e un poi nella filosofia politica contemporanea, sembra essere, nel complicato scenario attuale, preoccupato non tanto di smussare il conflitto, quanto di trasporre il negativo in un «registro positivo», di trovare una via d’uscita a una negazione altrimenti sterile, che rischia, com’è facile constatare nel paesaggio politico di questi giorni, di essere alla fin fine condannata o a una autodistruzione oppure a una vuota sterilità.