Corriere La Lettura 11.3.18
Scienza, amore, comunismo
Rigore e regole di Alain Badiou
L’autore condanna la forma attuale dell’ingiustizia: il capitalismo globalizzato
di Stefano Montefiori
Alain
Badiou occupa un posto a sé stante nel mondo intellettuale
contemporaneo. La sua fedeltà all’«ipotesi comunista» è sicuramente un
fattore importante di questa sua singolarità, ma c’è anche il modo
particolare di interpretare la figura del filosofo. Soprattutto in
Francia, il termine «filosofo» è diventato una sorta di sinonimo di
intellettuale. Chi è dotato di una visione su un particolare aspetto
della realtà, chi espone un’idea in un saggio, è legittimato a
dichiararsi filosofo. Alain Badiou contesta questa facilità nell’usare
un termine che comporta studi, competenze, e quindi responsabilità. Nel
libro precedente pubblicato in Italia da Mimesis, Elogio delle
matematiche , Badiou spiega che «non si può certo dominare l’intero
campo delle scienze ma si può, e si deve, averne una conoscenza
sufficiente, un’esperienza abbastanza approfondita e ampia. Invece, oggi
sono numerosi i “filosofi” ben lontani da questo requisito minimo e, in
particolare, lontani dal sapere matematico che, da sempre, è stato il
più importante per la filosofia». La qualifica di filosofo è
inflazionata, e uno dei modi per smascherare gli usurpatori è a suo
avviso verificare il rapporto con la matematica, via sicura per il
rigore filosofico perché con lei «è impossibile barare».
Badiou
poi riafferma la possibilità di una filosofia. Intesa appunto non come
riflessione più o meno approfondita su un aspetto del presente, né come
adesione nostalgica a una visione del passato, ma come sistema che abbia
l’ambizione di abbracciare l’«essere» o, ancora meglio, l’«evento» che
per Badiou è il vero modo nel quale si dispiega la realtà.
Oggi
ripubblicato in Italia da Mimesis, al suo apparire trent’anni fa
L’essere e l’evento pose le basi del sistema filosofico di Alain Badiou,
che si completerà poi con Logiques des mondes (2006) e L’immanence des
vérités di prossima pubblicazione. Nel saggio introduttivo alla nuova
edizione italiana, gli autori Pierpaolo Cesaroni, Marco Ferrari e
Giovanni Minozzi sottolineano come «Badiou si è poco a poco affermato
come uno dei filosofi più letti e discussi al mondo, celebre per la sua
incessante difesa della possibilità della filosofia, per la sua strenua
invocazione di un pensiero capace di compiere un passo al di là delle
apparenti condanne inflittegli dall’epoca postmoderna e di rimanere
fedele a una vocazione universale; e, soprattutto, per l’impressionante
quantità e varietà di temi che ha saputo affrontare, tratto che gli ha
permesso di diventare oggetto di analisi negli ambiti di ricerca più
disparati, superando le distinzioni imposte dal mondo accademico e dalla
doxa filosofica contemporanea». Nella prefazione alla nuova edizione
italiana, lo stesso Badiou ricorda che il libro è stato il risultato del
lungo lavoro che ha accompagnato i «terribili anni Ottanta». «Terribili
perché rappresentavano a tutti gli effetti l’inizio della reazione
borghese e imperialista agli “anni rossi” (dal 1965 al 1976, ndr ), che
avrebbe travolto la Terra per lungo tempo, dal momento che non ne siamo
ancora usciti».
«L’essere e l’evento» è stato pubblicato per la
prima volta in Francia trent’anni fa. Oggi viene diffuso in una nuova
edizione in Italia. Gli anni trascorsi hanno cambiato il modo in cui il
libro è stato accolto?
«Bisogna ricordare che alla sua uscita il
libro ha ricevuto un’accoglienza praticamente riservata a qualche
giovane filosofo particolarmente competente, e oggi conosciuto, come
Quentin Meillassoux. La vera carriera del libro è cominciata all’estero,
in particolare nel mondo anglofono, tra gli anni Novanta e Duemila.
Oggi è considerato quasi come un classico».
Qual era il suo scopo principale quando l’ha scritto? E pensa di essere stato capito, durante questi trent’anni?
«L’intenzione
principale era di contestare in modo reale, attraverso un’opera, la
tesi della maggioranza dei “filosofi” della mia epoca, ovvero che una
costruzione filosofica sistematica appartiene al passato. Questa tesi
era quella di Heidegger tanto quanto della filosofia analitica
americana. Ho voluto offrire un esempio contrario, scandendo una
ontologia del multiplo, una teoria dell’evento, una teoria del soggetto,
e una teoria delle verità, in modo costruttivo e logico, e facendo un
uso ragionato della matematica».
Qual è la maggiore differenza con uno dei suoi maestri, Louis Althusser?
«Sono
sempre stato lontano dalla filosofia di Althusser, pur riconoscendogli
una tragica grandezza. La disposizione delle categorie filosofiche con
le nozioni ideologiche da una parte e dall’altra i concetti scientifici,
mi sembra troppo marcata per una tradizione positivista, un culto della
scienza, combinato a una determinazione politica essa stessa rigida.
Althusser ha proposto, con grande talento, di incorporare il marxismo
alla tendenza strutturalista dominante. Proprio come Sartre aveva
cercato, in Critica della ragione dialettica , di incorporare il
marxismo nella corrente fenomenologica. Il mio approccio non è dettato
dal marxismo, anche se ne offre una nuova lettura. Il mio contributo si
pone come una sistematizzazione classica dei dati contemporanei».
Perché la matematica e la teoria degli insiemi di Cantor hanno un ruolo decisivo nella sua visione filosofica?
«Il
mio postulato ontologico è che l’essere, in quanto essere, è
molteplicità pura. Mi oppongo così formalmente a qualsiasi metafisica
dell’Uno. E mostro che il pensiero di tutte le forme possibili del
molteplice, un pensiero rigoroso e razionale, è realizzato storicamente
dalla matematica. Ne risulta evidentemente un’importanza cruciale della
teoria degli insiemi, che è la matematica delle molteplicità sia
infinite sia finite».
Nell’introduzione lei presenta una tripartizione: l’essere, il soggetto, la verità. Qual è il ruolo di Dio, se ne ha uno?
«Il
concetto metafisico di Dio non è che una interpretazione filosofica di
un dato della religione, e cioè che l’essere è fondamentalmente Uno. O
ancora, che solo Dio è realmente infinito. Ora, io credo di poter
dimostrare che l’essere non è nella forma dell’Uno, ma in quella del
molteplice; e che occorre separare l’Uno dall’infinito, perché dopo
Cantor sappiamo che esistono molteplici forme diverse dell’infinito.
Così scompare il concetto di Dio, in quanto concetto razionale».
E il ruolo dell’amore?
«Gli
attribuisco una grande importanza: con le scienze, le arti e le
politiche, l’amore è una condizione di esistenza della filosofia, perché
è l’esperienza più radicale, più completa, di una relazione all’Altro».
Qual è il posto della filosofia oggi? E qual è il suo rapporto con la politica?
«La
filosofia sostiene che esistano delle verità, e propone, in funzione
dello stato contemporaneo delle sue condizioni (scienza, arte, politica,
amore), di costruire un concetto di quel che è una verità appropriata
alla propria epoca. La filosofia propone dunque un modo di distinguere
le politiche senza verità, che sono puri conflitti di interesse e di
potere, dalle politiche vere, che cercano di costruire quel che potrebbe
essere una società realmente giusta. Da circa due secoli possiamo dire
che, da questo punto di vista, la filosofia incoraggia le politiche
comuniste, e critica tutte le ideologie che, talvolta sotto il nome
usurpato di “filosofia”, non sono che delle perorazioni per la forma
attuale dell’ingiustizia, ovvero il capitalismo globalizzato».