martedì 6 marzo 2018

Corriere 6.3.18
Rottamati i rottamatori, prima rimonta fallita dal Cavaliere
Il 4 marzo una classe dirigente è stata sommersa dal «nuovo»
Seconda Repubblica, tramonto improvviso come accadde nel ’94
di Pierluigi Battista


Di sinistra o di destra, del Nord o del Sud, più anziana o più giovane, il 4 marzo del 2018 la classe politica della Seconda Repubblica è sprofondata. Come nel ’94, quando i politici della Prima Repubblica furono depositati nella soffitta dei ferrivecchi. Arrivarono i «nuovi», i berlusconiani, i leghisti. Cambiarono abiti, linguaggi, modi d’essere, riferimenti ideologici. Oggi, nel terremoto elettorale che ha cambiato i connotati del sistema politico, sono stati travolti anche loro, i nuovi del ’94 messi ai margini 24 anni dopo. Ma come, Matteo Salvini non è forse leghista? È leghista, ma un leghista completamente diverso dai leghisti storici. Ha politicamente seppellito Bossi, Maroni, quasi l’intera classe dirigente del Carroccio nordista e indipendentista. Ha un lessico completamente diverso, è nazionalista, sovranista, populista, ha cancellato il Nord dalle insegne del partito di impronta bossiana.
La classe dirigente che ha lasciato il Pd per farsi una lista tutta sua? Spazzata via, confinata nell’angolo dell’insignificanza. Massimo D’Alema, uno dei protagonisti di punta della stagione della cosiddetta Seconda Repubblica, patisce una sconfitta umiliante in Puglia. Pier Luigi Bersani chiude il suo ciclo politico, Maurizio Crozza dovrà fare a meno di lui. E Vasco Errani, Enrico Rossi, i sindaci come Zanonato: capitolo chiuso. I grandi collettori di voti del Sud che sono stati l’ossatura elettorale del Pd nel Mezzogiorno: il chiudersi di una stagione per Michele Emiliano in Puglia dove i 5 Stelle sfiorano il 50 per cento, o per De Luca e famiglia in Campania, dove i 5 Stelle quel 50 per cento lo superano. Anche qui, Maurizio Crozza dovrà studiare per trovare bersagli satirici di nuovo conio. E nel Partito democratico, si sono oscurati molto presto gli astri che avrebbero dovuto brillare prendendo il posto della generazione dei fondatori. Molti se n’erano già andati prima. Adesso il Giglio Magico è tragicamente appassito, i rottamatori sono stati rottamati. Si presentavano come il nuovo ma erano i figli di un partito che nel 2013 aveva già drammaticamente perso le elezioni. Hanno assaggiato il potere con un 25 per cento gonfiato fino al 70 da un premio di maggioranza che per la sua enormità è stato dichiarato incostituzionale, e in pochi anni, malgrado l’anagrafe, sono stati considerati vecchi dall’elettorato. Avrebbero voluto essere l’annuncio della Terza Repubblica, sono stati nei fatti l’ultimo capitolo della Seconda che ora sta scomparendo.
Ed era un’illusione ottica anche lo strabiliante recupero di Silvio Berlusconi, il dominus simbolico della Seconda Repubblica. Questa è stata la prima campagna elettorale che lui ha davvero perduto: le altre, anche se il risultato finale non è stato un successo, sono state lo scenario di recuperi pazzeschi, di rimonte spettacolari, di show da numero uno. Ma stavolta la sconfitta con il suo alleato-rivale Salvini è stata secca e senza attenuanti. Il centrodestra berlusconiano così come lo abbiamo conosciuto in ventiquattro anni, con un leader certo, un portatore maggioritario di voti e di consensi, è svanito, ingoiato dalla poderosa macchina salviniana. E tutto il mondo berlusconiano della Seconda Repubblica appare frastornato, dovendosi acconciare a un ruolo di secondi in uno schieramento che non è detto possa durare più di tanto, se le vicende parlamentari dovessero prendere direzioni impreviste. Messo alle corde il Pd, ridotta a un ruolo secondario Forza Italia, simbolicamente cancellata la sinistra che aveva rimproverato Renzi di non essere abbastanza di sinistra, lo scenario politico italiano cambia radicalmente protagonisti, classi dirigenti, linguaggi, antropologie. Così come i politici della Prima Repubblica cercarono disperatamente di infilarsi nella corrente dominante della Seconda, anche adesso gli sconfitti della Seconda cercano di giocare un ruolo nella nuova stagione politica. Non sarà facile. Solo Pier Ferdinando Casini è riuscito a vincere la sua battaglia sotto il ritratto di Palmiro Togliatti. Ma ci vuole stoffa.