Corriere 29.3.18
Il ruolo dei dem
La crisi d’identità a sinistra
di Ernesto Galli della Loggia
È
proprio la campagna elettorale del Pd per le elezioni del 4 marzo che
aiuta a capire quanto c’è da capire circa le ragioni della crisi di
consenso e d’identità che ha colpito quella che nonostante tutto resta
l’unica formazione esistente della Sinistra italiana.
Il Pd ha
fatto una campagna elettorale tutta orientata contro i due partiti che
esso aveva eletto a suoi rivali per antonomasia (del tutto ricambiato
naturalmente): la Lega e i Cinque Stelle. Sono stati infatti i loro
principali punti programmatici — dal reddito di cittadinanza
all’espulsione in massa degli immigrati clandestini, all’antieuropeismo —
che hanno costituito il continuo bersaglio polemico dei Democratici. Si
può dire che il volto con cui il Pd si è presentato all’elettorato sia
stato quello di una sorta di katéchon , di unica forza capace di
trattenere il Paese dal precipitare nelle tenebre del populismo (anche
se un identico ruolo era significativamente rivendicato pure da
Berlusconi). Il Pd, in altre parole, ha costruito tutta la propria
campagna e quindi la propria immagine in funzione antagonistica a dei
nemici politici.
È, beninteso, quanto fanno tutti i partiti,
specie in una campagna elettorale. Solo che nella campagna elettorale
del Pd tale attacco ai nemici politici non si è accompagnato pressoché a
niente altro che non fosse il freddo elenco dei propri meriti come
forza di governo.
Quali aspetti della vita pubblica e della
società italiana, ad esempio, il Pd intendeva contrastare? Per quale
aspetto o settore di entrambe proponeva qualche cambiamento
significativo? Quali problemi nuovi additava, e quali soluzioni?
Difficile saperlo.
N on dubito che forse per ognuna di queste
domande da qualche parte del tale o tal altro documento o pubblicazione
del partito sarà stato scritto più o meno qualcosa. Il punto è che non è
certo con questo qualcosa che i Democratici si sono rivolti
all’elettorato. La loro campagna è consistita unicamente nella continua
sottolineatura delle presunte sciocchezze, approssimazioni o vere e
proprie menzogne contenute nelle proposte degli altri (tra l’altro con
l’effetto suicida che per settimane tutto il Paese ha parlato solo di
queste).
Il risultato inevitabile è stato che l’immagine del Pd
venutane fuori è stata quella di un partito di fatto identificato con
l’esistente e con la sua difesa: fino al punto di considerare tale
difesa il proprio compito principale. Insomma l’immagine tipica di un
partito dell’establishment, assai più di un partito conservatore che di
un partito di sinistra. Tanto più in una situazione sociale come la
nostra attuale dove, lo dicono le statistiche dell’Istat, sono almeno
dieci i milioni di italiani che vivono nella povertà o in condizioni di
disagio assai prossime alla povertà, dove per giudizio unanime interi
settori dei servizi essenziali funzionano male o malissimo, dove in
intere regioni le condizioni della sanità sono una vergogna, quelle
della disoccupazione insostenibili e così via proseguendo in un elenco
fin troppo noto.
Ora, se è vero che un probl ema d’identificazione
con l’esistente e con l’establishment è un problema più o meno comune a
tutti partiti socialdemocratici dell’Europa occidentale dopo decenni e
decenni di governo, è anche vero che in Italia, però, tale problema è
particolarmente accentuato. Per due ragioni. Innanzi tutto perché fin
dagli anni 60 del secolo scorso la stragrande maggioranza del mondo dei
media, dell’arte, del cinema, del giornalismo, dell’editoria, della
letteratura, cioè dell’apparato culturale del Paese con tutta la vasta
rete di relazioni che ad esso fa capo, si riconosce nella Sinistra. Cioè
è già da moltissimo tempo, fin da quando essa era politicamente
all’opposizione, che la Sinistra è parte decisiva dell’establishment
italiano, ne reca i tratti distintivi. Un aspetto, questo, destinato a
diventare ancora più forte dopo il 1993-94 in forza della seconda delle
due ragioni di cui sopra. Vale a dire a causa della scomparsa dal
panorama politico italiano di un partito di centro, moderato, quale era
stato la Democrazia cristiana: la quale bene o male aveva rappresentato
per mezzo secolo un fattore importante di coagulo e di rappresentanza di
parti decisive della classe dirigente della Penisola. Una funzione,
viceversa, che non ha di certo incarnato Berlusconi, mai riuscito a
liberarsi di un suo tratto di provvisorietà e di imprevedibilità di
sapore avventuristico, e di una crescente impresentabilità stilistica
personale, che lo hanno sempre reso fondamentalmente lontano
dall’establishment italiano. Al quale, dunque, non è rimasto allora che
rivolgersi al Pd, il quale con il suo antico lignaggio nella tradizione
italo-comunista appariva garanzia di serietà, solidità, competenza,
nonché, ciò che non guastava, sempre più ministeriale. Da tempo tutti i
poteri che contano non si sono mai schierati — di fatto e almeno
pubblicamente (nella realtà e dietro le quinte magari è diverso, ma qui
si sta parlando per l’appunto dell’immagine) — in maniera contraria al
Pd quanto piuttosto a suo favore: una tendenza da Renzi rovinosamente
assecondata.
Non è facile dire quale possa essere oggi il compito
di un partito di sinistra — e perciò necessariamente socialdemocratico
—, ma mi pare indubbio che un tale compito non possa che iniziare da
qui. Dal contrastare qualunque visione omogeneizzatrice della società
esistente per affermare, viceversa, l’immagine assai più veritiera di
una società — com’è appunto la nostra — profondamente segmentata, con
faglie d’ineguaglianza profonde, attraversata da visibili
contraddizioni. Il che comporta poi nell’azione, e poi ancora in una
campagna elettorale, non solo e non tanto scendere in campo contro dei
nemici politici, ma innanzi tutto indicare geografie sociali da
modificare, meccanismi nuovi da adottare, attori sociali da contrastare e
altri da favorire. Non basta: mentre chi non vuole cambiare è naturale
che non si senta indotto a spingere lo sguardo troppo lontano dal
presente, è chi vuole una realtà diversa, invece, che non dovrebbe poter
fare a meno di disegnare un futuro, il che vuol dire sempre, anche,
riallacciarsi a un passato. Se il Pd si sia mosso su tali binari lo
lascio giudicare a chi legge. Per quel che mi riguarda pongo solo una
domanda: ma se un partito che si dice di sinistra non fa o non cerca di
fare quanto sopra, che esiste a fare?