Repubblica 30.1.18
Gesù e Maria? Perfetti per vendere
di Marino Niola
Gesù
e Maria testimonial del dio mercato? È cosa buona e giusta. Lo ha
stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha legittimato l’uso
dei simboli religiosi in pubblicità e condannato la Lituania per aver
multato un’azienda che nel 2012 aveva usato le immagini di Cristo e
della Vergine per una campagna promozionale. Lui in jeans
attillatissimi, tatuaggi al punto giusto, un po’ hippie un po’ hipster.
Lei, coronata di fiori, con un candido vestitino bon ton, un rosario fra
le mani mentre fissa l’obiettivo con incanto virginale. Gli slogan, in
verità, suonano più scemi che blasfemi. “Gesù, che pantaloni!”, “Cara
Maria, che vestito!”. Per finire con “Gesù e Maria, cosa indossate!”.
Una giaculatoria commerciale per far desiderare un jeans da dio e un
abito della Madonna.
La pubblicità aveva suscitato proteste,
coinvolgendo anche la Conferenza episcopale lituana e l’Agenzia
nazionale per la difesa dei diritti dei consumatori. Che aveva
condannato l’azienda a 580 euro di multa per violazione della morale
pubblica e offesa alla religione. Ma il verdetto della Repubblica
baltica ieri è stato ribaltato dalla Corte europea.
I giudici di
Strasburgo hanno sentenziato che le immagini dei sacri testimonial «non
sembrano essere gratuitamente offensive o profane». Né incitano
all’odio. E ancor meno sono contrarie alla morale pubblica. I togati
della Comunità hanno criticato le autorità di Vilnius per aver affermato
che le pubblicità «promuovevano uno stile di vita incompatibile con i
principi di una persona religiosa». Ma, in realtà, non hanno spiegato in
cosa consista questo stile di vita. Né dove sia l’incompatibilità con i
principi dell’homo religiosus.
Un profilo peraltro difficile da
definire. E qui i giurati europei hanno affondato il colpo, rilevando
che il solo gruppo religioso consultato per dire la sua sul caso è stato
quello cattolico. Trasformato così nel paradigma unico per definire
l’ortodossia, pubblicitaria e non. La questione è solo apparentemente
frivola. Perché in realtà non si tratta solo di fashion. In fondo per
l’azienda sarebbe stato più facile pagare quella bazzecola di ammenda.
Invece in difesa del designer Kalinkin è sceso in campo lo Human rights
monitoring institute. Che ne ha fatto una questione di principio per
affermare la libertà di espressione. Dimostrando che abiti e abitudini
sono fatti della stessa stoffa. Sia gli uni che le altre, infatti, sono
la forma materiale di un habitus mentale. E proprio per questo sono
destinati a cambiare foggia e disegno, peso e misura di pari passo con
il cambiamento
dei valori sociali, delle sensibilità morali, delle istanze culturali.
Esattamente
quel che successe negli anni Settanta, quando il manifesto
pubblicitario dei jeans Jesus, ideato da quel genio della provocazione
che risponde al nome di Oliviero Toscani fece drizzare i capelli ai
benpensanti e scatenò un’autentica guerra di religione. Mobilitando
liturgia e ideologia. L’immagine resta insuperata. Un lato B provocante
con una scritta evangelicamente irriverente. “Chi mi ama mi segua”. Era
un cortocircuito incendiario tra religione e trasgressione che
compendiava lo spirito dissacrante
di quegli anni pieni di
adrenalina. Quando il referendum sul divorzio, il femminismo e la
liberazione sessuale agitavano le intelligenze e le coscienze. Certo
la
bomba di Toscani era di gran lunga più devastante. Ma in compenso
questi Gesù e Maria griffati fanno giurisprudenza. Perché le libertà
all’inizio si scrivono
sui corpi. E poi si trascrivono sui Codici.