mercoledì 28 marzo 2018

Corriere 28.3.18
Mercato, partito, patria: la ricetta di Xi per la Cina
di Francesco Maria Greco


Le recenti modifiche costituzionali cinesi, approvate per acclamazione parlamentare, consentono a Xi Jinping — capo dello Stato, del partito e della commissione militare — di prolungare indefinitamente il suo mandato e sono il punto di arrivo di un percorso avviato sin dalla sua non facile nomina nel 2012 e la prosecuzione del programma di rinascimento «per porre la Cina nella posizione internazionale che le spetta». Sarebbe semplicistico ridurre l’unanime consenso a una fulminea congiura: Xi ha dovuto conquistare il pieno controllo del partito con un processo lungo e travagliato di cui è stata parte anche la campagna anti corruzione.
Un esperto di cose asiatiche paragonava il Partito comunista cinese alla vecchia Democrazia cristiana: pieno di correnti interne, ma capace di mediare fra interessi regionali e funzionali. La cultura politica cinese, infatti, non si fonda sui valori ma sulla funzionalità. Per questa esigenza pratica e non ideologica Deng liquidò il maoismo e introdusse meccanismi per evitare concentrazione di potere nelle mani del segretario del partito, assicurare un’ordinata transizione e una regolare circolazione delle élite, dare speranza alle nuove generazioni e, soprattutto, creare quelle condizioni di stabilità che consentirono una sorprendente fase di ininterrotta crescita e modernizzazione economica. Secondo Xi, questo assetto non è più funzionale alla nuova missione storica del Paese: per rifare grande la Cina occorre una leadership duratura. La sua visione trascende i due modelli che si sono fronteggiati negli ultimi anni: la Nuova Destra del Guangdong (liberalizzazione economica, più diritti politici) e la Nuova Sinistra di Chongqing (statalismo, lotta alle diseguaglianze sociali) e subordina al sogno cinese di diventare una grande potenza nel 2050 le tre grandi sfide. Quella economica per elevare il reddito medio e ridurre le disparità; quella politica per maggiori diritti e partecipazione della società civile; quella geostrategica per contenere la potenza che storicamente controlla gli sviluppi in Asia (gli Usa del pivot to Asia di Obama).
L’avvento di Xi al potere coincise con una fase di transizione e un acceso dibattito interno: dopo trent’anni di sviluppo economico accelerato, dovuto anche a un esiguo costo del lavoro, si chiedevano aumenti salariali compatibili con una crescita sufficiente a generare nuova occupazione tenuto conto della dinamica demografica. Egli ha pertanto mirato a rafforzare il partito — garante dell’ordine e della disciplina — ponendolo al di sopra dello Stato; ma questa stabilità politica necessaria alla crescita economica va accompagnata da una dimensione geostrategica che crei una Cina forte: da qui l’aumento della spesa militare specie nel campo navale per il controllo del Mar Cinese Meridionale. Un esempio della combinazione di questi aspetti — politici, economici e strategici — è il faraonico progetto della Nuova Via della Seta. E lo Xi-pensiero tende anche a forgiare una nuova identità nazionale: cosa vuol dire essere cinesi nel XXI secolo: aver scoperto il mercato e l’originale «capitalismo di Stato»; rispolverare i valori etico-culturali del confucianesimo; sacralizzare l’ideologia del par-tito come unico contrasto a tendenze centrifughe in un Paese così vasto e complesso; ravvivare il collante del nazionalismo? La risposta di Xi è di fare della Cina una nazione innovatrice come prevede, ad esempio, il progetto «Made in China 2025».
Quando si commenta qualsiasi novità cinese si cade nell’eterno dilemma fra sino-ottimisti e sino-pessimisti. Gli uni vedono un sistema sempre più opaco e draconiano, una subdola aggressività economica e un imperialismo oggi regionale domani planetario. Gli altri pensano che l’accentramento di potere comporti una maggiore stabilità e una Cina più assertiva ma meno aggressiva. Se a questo aggiungiamo che il ruolo del Paese in Asia dipenderà molto dalla concorrente politica americana — mai indecifrabile come oggi — si comprende come sia difficile fare previsioni univoche o esprimere giudizi definitivi.