Corriere 27.3.18
Una guida completa all’affascinante percorso
di incremento della conoscenza che ha visto protagonisti personaggi della
statura di Pitagora, Apollonio, Keplero, Newton, Cantor. Una grande
avventura dell’intelletto umano
La misteriosa potenza della matematica Un esercizio di libertà per capire l’universo
di Giulio Giorello
La
matematica «è la chiave e insieme la porta di tutte le scienze». Così
dichiara a metà del Duecento il francescano di Oxford Ruggero Bacone.
Ecco, invece, una provocatoria descrizione di come lavorano i cultori di
tale straordinaria disciplina: «Visitai la scuola di matematica, dove
il maestro impartiva il suo insegnamento con un metodo che in Europa si
stenterebbe perfino a immaginare. Teorema e dimostrazione venivano
nitidamente scritti sopra un’ostia sottile (…). Lo studente era tenuto a
ingoiarla a stomaco vuoto e, per tre giorni successivi, a mangiare
soltanto pane e acqua. Via via che l’ostia era digerita, l’essenza
(dell’inchiostro) saliva al cervello, portando seco il teorema». Siamo
all’Accademia di Lagado, di cui riferiva Lemuel Gulliver nei suoi Viaggi
(1726), la cui cronaca, «assai sconnessa e scorretta», si deve alla
penna di Jonathan Swift. E pensare che, circa mezzo secolo prima, le
dimostrazioni matematiche erano state considerate come «l’occhio della
mente» nell’ Ethica di Baruch Spinoza!
Da millenni la potenza
della matematica nel renderci comprensibile il mondo era stata discussa e
valutata. Senza nemmeno risalire all’antico sapiente greco Pitagora (e a
Platone), sarà qui sufficiente un esempio. Nel III secolo avanti Cristo
Alessandria d’Egitto era il centro della cultura ellenistica. Qui
insegnavano i maggiori matematici dell’antichità: tra questi Apollonio,
nato intorno al 262 a Perga, in Asia Minore. In un’opera che
fortunosamente è arrivata fino a noi, Le coniche , aveva studiato le
curve che si ottengono tagliando un cono con un piano, e a una di esse —
una curva chiusa dalla forma oblunga — aveva dato il nome di ellisse.
Diciassette
secoli dopo, il tedesco Giovanni Keplero aveva sostenuto che le orbite
dei pianeti del sistema solare non erano circonferenze, come aveva
ritenuto ancora Copernico, ma ellissi! Ma quale causa poteva produrre
orbite di quel tipo? Alcuni, come l’inglese Edmond Halley, immaginavano
che si trattasse di una forza inversamente proporzionale al quadrato
della distanza Sole-pianeta. Comunque, nell’estate del 1684 Halley si
rivolse a Isaac Newton, che si era già posto il problema e l’aveva
risolto. «Come hai fatto a sapere che si tratta di un’ellisse?» gli
chiese. «L’ho calcolata» fu la risposta. E nei Philosophiae naturalis
principia mathematica (1687) Newton enunciò la legge della gravitazione
universale. Quando nella notte di Natale del 1758 gli astronomi
osservarono una cometa dalla traiettoria fortemente ellittica, il cui
ritorno per quell’anno era stato previsto da Halley mediante calcoli
basati sulla teoria newtoniana, divenne chiaro come una figura
geometrica concepita da un matematico alessandrino sezionando un cono
potesse descrivere un aspetto della natura, le orbite dei pianeti.
Giacomo
Leopardi, nel suo Zibaldone , in data 29 giugno 1821, osservava: «Una
verità isolata (…) poco giova (…) al progresso dell’intelletto.
Cercandone la prova, se ne conoscono i rapporti e le ramificazioni
(sommo scopo della filosofia). E perciò i geometri non si contentano di
avere scoperta una proposizione, se non ne trovano la dimostrazione».
Eppure
lo stesso Leopardi non esitava a lamentarsi di una «arida geometria»,
se questa era applicata in maniera pedante! Ma non va dimenticato che,
giovanissimo, il poeta di Recanati si era appassionato alla storia
dell’astronomia, facendo di Newton e di Keplero gli eroi della
conoscenza, per non dire di Galileo Galilei. Questi nel Saggiatore
(1623) aveva dichiarato che l’universo è un «grandissimo libro» scritto
«in lingua matematica», i cui «caratteri sono triangoli, cerchi e altre
figure geometriche». La metafora era già presente in non pochi autori
medioevali, ma mentre nel loro caso l’enfasi era posta sull’autore del
volume, cioè Dio onnipotente, con Galileo l’accento è rivolto alla
lingua con cui è scritto. Si noti che Galileo, per altro in contatto con
Keplero, non parla minimamente di ellissi!
Un grandissimo fisico
del Novecento, Paul Dirac, era solito notare che non c’è alcuna ragione
che giustifichi l’impiego della matematica nello studio di come è fatto
il mondo: sta di fatto che, però, ha successo. Un altro fisico teorico,
Eugene Wigner — cognato di Dirac, che ne aveva sposato la sorella — in
una conferenza affrontò L’irragionevole efficacia della matematica nelle
scienze naturali , per concludere che si tratta di «qualcosa che
confina col mistero, e non ammette una spiegazione razionale». Secondo
Dirac, invece, la matematizzazione della realtà riflette una proprietà
intrinseca. «Il matematico partecipa a un gioco di cui inventa le
regole, mentre il fisico partecipa a un gioco le cui regole sono fornite
dalla Natura; ma con il passare del tempo diventa sempre più evidente
che le regole che il matematico trova interessanti sono le stesse che la
Natura ha scelto». E un altro eccezionale protagonista della fisica del
Novecento, Niels Bohr, sottolineava come la nostra capacità di dare
numeri e figure alle cose fosse l’aspetto davvero «umanistico» del
lavoro del matematico!
Se il ricorso a nozioni matematiche non è
semplicemente una sistematizzazione di conoscenze preesistenti, ma una
via per la scoperta, il segreto sta forse in quella che il matematico
ottocentesco Georg Cantor considerava «l’essenza della matematica: la
sua libertà». Insofferente delle pressioni di qualsiasi potere che le
sia estraneo, essa si è affrancata persino da vincoli rigidi con
l’intuizione sensibile. Osservava un gigante della matematica del
Novecento, André Weil, che questo non è però un processo che obbedisca a
un disegno divino. Scriveva alla sorella Simone (febbraio 1940) che la
matematica «non è altro che un’arte, una specie di scultura in un
materiale estremamente duro e resistente (come certi porfidi usati a
volte, credo, dagli scultori)». Ma quest’arte è una sfida a capire e
trasformare la nostra presenza nel mondo.