sabato 24 marzo 2018

Corriere 24.3.18
Le inedite «larghe intese»
Matteo & Luigi, le nuove larghe intese Embrione di governo per votare presto
Con gli altri divisi, Di Maio andrebbe alle consultazioni da forza di maggioranza relativa
di Francesco Verderami


Eccole le larghe intese. Solo che all’appuntamento con la storia non sono arrivati Renzi e Berlusconi ma Salvini e Di Maio, il vero vincitore della prima sfida giocata sulle presidenze delle Camere. Se oggi conquisterà lo scranno di Montecitorio per il suo Movimento, varrà il modo in cui il leader grillino l’avrà ottenuto: «Senza aver bisogno di Berlusconi».
Più che una questione di stile, era un obiettivo politico: riuscire a completare la missione facendo a meno dei voti del Cavaliere, voleva soprattutto dire esser riuscito a spaccare il centrodestra, separando Salvini dall’alleato. Così Di Maio potrà prepararsi alle consultazioni per il governo come partito di maggioranza relativa, senza più l’equivoco ingombro di un rassemblement che poteva invece presentarsi a Mattarella più forte del Movimento per voti e seggi. Perché è chiaro che Salvini — quando salirà al Colle — rappresenterà solo la Lega e non più l’intera alleanza.
Di Maio ha atteso che il capo del Carroccio consumasse la rottura con Berlusconi con una efferatezza che solo la politica conosce: decidendo in casa altrui. Quello di Salvini peraltro è stato un doppio affronto verso il Cavaliere, siccome gli ha rivolto contro a mo’ di arma proprio il nome della candidata su cui il leader di Forza Italia puntava: la Bernini era infatti la carta coperta di Berlusconi. E Salvini gliel’ha bruciata. È evidente che non sarebbe stata più spendibile, com’è evidente che Di Maio e Salvini avevano calcolato insieme anche questa mossa, lasciando uno spiraglio a una soluzione di mediazione come l’azzurra Casellati.
Ce n’è la prova nel comunicato con cui il leader grillino si diceva disponibile alla Bernini «o a un profilo simile». Ma un compromesso avrebbe sancito la resa di Berlusconi, il suo stato di minorità, il definitivo passaggio di consegne all’alleato: un fatto inaccettabile. Anche la sua reazione era stata messa in conto. E appena l’ex premier ha provato a scartare, Salvini ha reso noto che avrebbe votato per la presidenza della Camera un candidato del Movimento. Ecco il momento della rottura, questo era il punto decisivo: Forza Italia non avrebbe mai potuto sostenere un grillino, senza quel riconoscimento politico di Berlusconi che era stato chiesto a Di Maio.
I dioscuri della Terza Repubblica sono andati a vedere il «bluff» di Berlusconi, che — senza più assi dopo le elezioni — non poteva fare altro: dopo aver chiesto il vertice dei leader, d’intesa con Salvini, per tutta risposta aveva dovuto subire un vertice dei capigruppo voluto da Di Maio, d’intesa con Salvini. E se Salvini ha rotto gli indugi è perché si sente forte nell’area che fu il centrodestra: al Sud l’ex ministro De Girolamo racconta di «un fuggi fuggi» di dirigenti locali verso il Carroccio, al Nord il capo della Lega controlla quasi tutto il territorio, in Lombardia ha imposto al neo governatore Fontana di tenere appesi gli alleati per le deleghe al Pirellone, in Friuli ha appena strappato la candidatura per il suo Fedriga. C’è qualche azzurro che pensa di minacciare le sue giunte regionali?
Ognuno per la propria parte il capo del Movimento e il segretario della Lega hanno deciso di trasformare Forza Italia e Pd nel loro terreno di caccia. Le larghe intese sulle cariche istituzionali sembrano infatti prefigurare un accordo politico per una breve tregua: giusto per cambiare la legge elettorale, renderla nuovamente maggioritaria e sfidarsi poi per Palazzo Chigi. Gianni Letta vede avverarsi la sua tetra profezia: «Andranno al ballottaggio». Certo, Salvini dovrà accettare il ruolo dello junior partner con Di Maio, e immagina anche un passaggio all’opposizione nella prossima legislatura, quando l’alleato di strada diventerà l’avversario.
Quel passaggio — nelle sue proiezioni — gli servirà per strutturare qualcosa che non sarà più il centrodestra ma un Pdl 2.0, introiettando gli alleati di oggi in attesa di farne polvere domani. Salvini punta a ricostruire a sua immagine e somiglianza ciò che Berlusconi aveva distrutto perché il centrodestra rimanesse a sua immagine e somiglianza.
Ognuno trae interessi da questo accordo di sistema. Di Maio nel suo campo aveva già organizzato tutto: se si tornerà al voto entro un anno, nel Movimento non verranno rifatte le «parlamentarie», deputati e senatori saranno automaticamente ricandidati e sulla regola del doppio mandato prevarrà la deroga, così potrà lui ricandidarsi.Ecco le nuove larghe intese, che preludono a un nuovo bipolarismo. Si vedrà se Di Maio e Salvini saranno i fondatori della Terza Repubblica, di certo la sfida sulle cariche istituzionali era una sfida politica. E l’obiettivo era «fare a meno di Berlusconi».