sabato 24 marzo 2018

Corriere 24.3.17
L’appuntamento A Firenze una mostra racconta il fermento creativo del secondo ‘900. E si intitola «Nascita di una Nazione» perché è da lì che prese le mosse l’Italia moderna. Con linguaggi diversi, dalla pittura alle installazioni. Ma certe tensioni sono vive ancora oggi
la rivoluzione ha le ali fragili
bandiere rosse e pugni chiusi: così si consumò
il sogno di una generazione dal cuore diviso
di Marco Gasperetti


La prima sensazione è quella di un intrigante spaesamento. La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1955), il grande olio su tela di Renato Guttuso nel quale il Risorgimento s’ibrida con la Resistenza, trionfa dall’alto nella sua ortodossia, mentre proiezioni video in bianco e nero di quegli anni avvolgono il visitatore ai lati della stanza.
Ma basta abbassare lo sguardo per spezzare l’apparente quiete di un’improbabile armonia. Ecco le bandiere rosse, spiegate come vele, di Giulio Turcato, ( Il comizio , 1950) che ci spingono verso un antirealismo astrattista. E, soprattutto, ecco L’ultimo re dei re (1961), il décollage di Mimmo Rotella con il volto «strappato» di Mussolini e una scritta sui cinesi che si proietta nel futuro.
È l’inizio di un cammino che ci porterà indietro nel tempo, alla scoperta di quell’Italia del secondo dopoguerra che, non solo distrutta ma anche decostruita dalla guerra, inizia a ritrovare le sue identità e diventa nazione. Vent’anni di straordinario fermento culturale e artistico, tra gli anni ‘50, il ‘68 e l’inizio dei cupi presagi dell’epoca del terrorismo. Luca Massimo Barbero, il curatore di «Nascita di una Nazione, tra Guttuso, Fontana e Schifano», (Palazzo Strozzi sino al 22 luglio) ce li racconta attraverso 80 opere e una narrazione non sequenziale ma simile a un grande ipertesto.
Ogni sala, sono otto in tutto, non è solo una rappresentazione di stili che appaiono spesso opposti e di esperienze «altre» (Arte Informale, Arte Povera, Pop Art, Arte Concettuale), ma un salto di paradigma che prima scuote l’animo del visitatore e poi riesce a plasmarlo nelle fantasie dei nuovi mondi. Ed è anche un riassunto: ogni ambiente potrebbe essere una mostra.
Così, dopo la prima sala (Il Dopoguerra come nuovo Risorgimento) ecco Scontro di Situazioni, un balzo verso l’informalità. C’è l’opera di Emilio Vedova (che dà il titolo alla sala), tempera, carboncino e sabbia su tela.
C’è Alberto Burri ( Sacco e bianco 1953) con la juta, l’intonaco, la corda. E ancora ci sono i rifiuti meccanici di Ettore Colla, lo spazialismo di Lucio Fontana, la terracotta di Leoncillo.
Si prosegue nella terza sala Monocromo come libertà con le opere plasmate dalle «nuove materie anarchiche», come bende, plastica, cibo e quella Merda d’artista di Piero Manzoni che molto fece discutere ma molto insegnò alla sperimentazione di quei tempi, siamo nel 1961, e alla ricerca di un’arte rappresentata da oggetti concettuali, come i palloncini gonfiati d’aria.
Nella quarta ambientazione sono i nuovi simboli della «metafisica quotidiana» a svelarsi. Come la famosa Coda del cetaceo (1966) di Pino Pascali o Senza titolo (1961) di Kounellis.
Quasi contrapposti, come in un grande gioco emozionale, al concettuale Pistoletto ( Quadro da pranzo 1965) e soprattutto al sorprendente iperrealismo dalla prospettiva distorta di Domenico Gnoli, che racconta dettagli di abbigliamento improbabile eppure probabilissimo.
Eppure non immaginatevi una mostra cerebrale e cervellotica. Nascita di una Nazione ha anche una natura ludica. Perché l’impegno politico, che a volte sembra essere così permeante e indissolubile, si unisce alla sostenibile leggerezza del boom economico.
Piper e sezione del Pci, cortei a pugni alzati. Goliardica concezione di una vita accelerata e rallentata. Perché, come sottolinea Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi «la mostra non solo ricorda il fermento culturale e sociale legato al ’68 ma celebra lo straordinario momento creativo del secondo dopoguerra italiano».
L’avvertenza del curatore, Luca Massimo Barbero, è quella di non considerare la rassegna di Palazzo Strozzi come un libro. «Le sale riassumono le tensioni sociali, politiche, culturali e sociali di quei tempi — dice il curatore —, riuniscono assonanze e contrasti. Fotografano un dialogo ancora oggi vitale».
Come accade nelle quattro sale che seguono e concludono la mostra. Nelle quali figure e gesti, cronaca e politica, geografie possibili e l’immaginazione al potere ci accompagnano sino agli albori degli anni di Piombo.