Corriere 24.3.17
L’appuntamento A Firenze una mostra racconta
il fermento creativo del secondo ‘900. E si intitola «Nascita di una
Nazione» perché è da lì che prese le mosse l’Italia moderna. Con
linguaggi diversi, dalla pittura alle installazioni. Ma certe tensioni
sono vive ancora oggi
la rivoluzione ha le ali fragili
bandiere rosse e pugni chiusi: così si consumò
il sogno di una generazione dal cuore diviso
di Marco Gasperetti
La
prima sensazione è quella di un intrigante spaesamento. La battaglia di
Ponte dell’Ammiraglio (1955), il grande olio su tela di Renato Guttuso
nel quale il Risorgimento s’ibrida con la Resistenza, trionfa dall’alto
nella sua ortodossia, mentre proiezioni video in bianco e nero di quegli
anni avvolgono il visitatore ai lati della stanza.
Ma basta
abbassare lo sguardo per spezzare l’apparente quiete di un’improbabile
armonia. Ecco le bandiere rosse, spiegate come vele, di Giulio Turcato, (
Il comizio , 1950) che ci spingono verso un antirealismo astrattista.
E, soprattutto, ecco L’ultimo re dei re (1961), il décollage di Mimmo
Rotella con il volto «strappato» di Mussolini e una scritta sui cinesi
che si proietta nel futuro.
È l’inizio di un cammino che ci
porterà indietro nel tempo, alla scoperta di quell’Italia del secondo
dopoguerra che, non solo distrutta ma anche decostruita dalla guerra,
inizia a ritrovare le sue identità e diventa nazione. Vent’anni di
straordinario fermento culturale e artistico, tra gli anni ‘50, il ‘68 e
l’inizio dei cupi presagi dell’epoca del terrorismo. Luca Massimo
Barbero, il curatore di «Nascita di una Nazione, tra Guttuso, Fontana e
Schifano», (Palazzo Strozzi sino al 22 luglio) ce li racconta attraverso
80 opere e una narrazione non sequenziale ma simile a un grande
ipertesto.
Ogni sala, sono otto in tutto, non è solo una
rappresentazione di stili che appaiono spesso opposti e di esperienze
«altre» (Arte Informale, Arte Povera, Pop Art, Arte Concettuale), ma un
salto di paradigma che prima scuote l’animo del visitatore e poi riesce a
plasmarlo nelle fantasie dei nuovi mondi. Ed è anche un riassunto: ogni
ambiente potrebbe essere una mostra.
Così, dopo la prima sala (Il
Dopoguerra come nuovo Risorgimento) ecco Scontro di Situazioni, un
balzo verso l’informalità. C’è l’opera di Emilio Vedova (che dà il
titolo alla sala), tempera, carboncino e sabbia su tela.
C’è
Alberto Burri ( Sacco e bianco 1953) con la juta, l’intonaco, la corda. E
ancora ci sono i rifiuti meccanici di Ettore Colla, lo spazialismo di
Lucio Fontana, la terracotta di Leoncillo.
Si prosegue nella terza
sala Monocromo come libertà con le opere plasmate dalle «nuove materie
anarchiche», come bende, plastica, cibo e quella Merda d’artista di
Piero Manzoni che molto fece discutere ma molto insegnò alla
sperimentazione di quei tempi, siamo nel 1961, e alla ricerca di un’arte
rappresentata da oggetti concettuali, come i palloncini gonfiati
d’aria.
Nella quarta ambientazione sono i nuovi simboli della
«metafisica quotidiana» a svelarsi. Come la famosa Coda del cetaceo
(1966) di Pino Pascali o Senza titolo (1961) di Kounellis.
Quasi
contrapposti, come in un grande gioco emozionale, al concettuale
Pistoletto ( Quadro da pranzo 1965) e soprattutto al sorprendente
iperrealismo dalla prospettiva distorta di Domenico Gnoli, che racconta
dettagli di abbigliamento improbabile eppure probabilissimo.
Eppure
non immaginatevi una mostra cerebrale e cervellotica. Nascita di una
Nazione ha anche una natura ludica. Perché l’impegno politico, che a
volte sembra essere così permeante e indissolubile, si unisce alla
sostenibile leggerezza del boom economico.
Piper e sezione del
Pci, cortei a pugni alzati. Goliardica concezione di una vita accelerata
e rallentata. Perché, come sottolinea Arturo Galansino, direttore della
Fondazione Palazzo Strozzi «la mostra non solo ricorda il fermento
culturale e sociale legato al ’68 ma celebra lo straordinario momento
creativo del secondo dopoguerra italiano».
L’avvertenza del
curatore, Luca Massimo Barbero, è quella di non considerare la rassegna
di Palazzo Strozzi come un libro. «Le sale riassumono le tensioni
sociali, politiche, culturali e sociali di quei tempi — dice il curatore
—, riuniscono assonanze e contrasti. Fotografano un dialogo ancora oggi
vitale».
Come accade nelle quattro sale che seguono e concludono
la mostra. Nelle quali figure e gesti, cronaca e politica, geografie
possibili e l’immaginazione al potere ci accompagnano sino agli albori
degli anni di Piombo.