venerdì 23 marzo 2018

Corriere 23.3.18
Novecento Una rassegna a Palazzo Morando sulla mobilitazione civile guidata dal socialista Emilio Caldara
La Madonnina sulla linea del Piave Così Milano vinse la sua guerra
di Antonio Carioti


Territorio di guerra: non parliamo del Carso, ma di Milano. È il 1° dicembre 1917, poco più di un mese dopo Caporetto, quando il governo qualifica ufficialmente in questo modo la metropoli lombarda, ormai non più tanto lontana dal fronte. Così le autorità procedono a espellere molti elementi considerati politicamente infidi perché contrari alla guerra, mentre l’impegno nella produzione bellica viene intensificato al massimo.
Quel momento altamente tragico della nostra storia nazionale è il punto d’avvio della mostra in corso a Milano fino al 6 giugno, presso le Civiche Raccolte Storiche a Palazzo Morando (via Sant’Andrea 6). Fotografie, manifesti, cartoline, mappe, quotidiani e periodici raccontano la capacità di una città e dei suoi amministratori, guidati dal sindaco socialista Emilio Caldara, di reggere la durissima prova.
Milano e la Prima guerra mondiale. Caporetto, la Vittoria, Wilson è il titolo dell’esposizione, organizzata dal Comune e promossa dalla Fondazione Saragat, dalla Società Umanitaria, e dal Centro Studi Grande Milano, con la collaborazione di altri enti. «Di fatto — sottolinea l’ex sindaco Carlo Tognoli, coordinatore della mostra — la nostra città divenne in quei mesi la capitale della parte d’Italia più direttamente investita dal conflitto. In precedenza era stata teatro di violenti dissidi fra neutralisti e interventisti, ma dopo l’inizio delle ostilità Caldara, che era contro la guerra, allestì un gigantesco sforzo di assistenza ai militari e ai civili, tanto da destare anche l’ammirazione di Luigi Albertini, direttore del “Corriere della Sera”, che in occasione delle elezioni aveva avversato l’esponente del Psi, paragonandolo a Barbarossa: nel suo libro di memorie Vent’anni di vita politica , riconobbe che Milano, governata dalla giunta socialista, aveva dato un esempio straordinario di volontà, forza e generosità».
Ci fu un enorme sviluppo dei servizi, osserva la curatrice della mostra, la storica Barbara Bracco: «Si sviluppò il soccorso alla vedove e agli orfani, si fece fronte con successo alla necessità di accogliere circa 100 mila profughi dal Veneto e dal Friuli: tantissimi per una città che aveva allora 700 mila abitanti. Anche l’eccellenza degli ospedali di Milano in fatto di chirurgia e l’ortopedia risale agli anni della guerra, quando si trattava di curare i feriti provenienti dal fronte».
Maurizio Punzo, membro del comitato scientifico della mostra e autore del libro Un Barbarossa a Palazzo Marino (L’Ornitorinco edizioni) sulla giunta Caldara, mette in rilievo l’aspetto politico di quell’azione: «Venne creato un Comitato centrale di mobilitazione civile, in cui erano presenti tutte le forze cittadine. E fu prestata una grande attenzione al rifornimento alimentare, di modo che Milano evitò rivolte per il pane come quella di Torino dell’agosto 1917. Dopo Caporetto poi, il neutralista Caldara usò apertamente toni patriottici».
Non mancarono episodi tremendi: «Il 7 giugno 1918 — ricorda Tognoli — ci fu un grosso incidente alla fabbrica di esplosivi Sutter & Thévenot, situata a Castellazzo di Bollate, dove lavoravano quasi solo donne. In Italia non se ne parlò molto, ma Ernest Hemingway, che all’epoca si trovava a Milano, ne scrisse in un racconto intitolato Una storia naturale dei morti . Morirono dilaniate, secondo i dati ufficiale, 58 operaie. Ma probabilmente il bilancio fu ancora più tragico».
Di quello stabilimento e di altre industrie analoghe, nota Barbara Bracco, ci sono rimaste foto molto belle: «L’Ufficio storiografico della mobilitazione diretto da Giovanni Borelli, creato per documentare lo sforzo bellico, costituì una squadra di fotografi incaricata di raffigurare anche gli impianti che producevano per il fronte. Gli scatti che ritraggono la fabbrica di Bollate, per esempio, sono di Luca Comerio, un autentico artista di formidabile talento».
La mostra si conclude con i festeggiamenti per la vittoria e con la visita a Milano del presidente americano Woodrow Wilson, il 5 gennaio 1919: «Fu un momento di grande entusiasmo — ricorda Punzo — in cui parve possibile creare un nuovo ordine internazionale all’insegna dei diritti dei popoli. Ma purtroppo quelle speranze sarebbero andate deluse».