venerdì 23 marzo 2018

Corriere 23.3.18
Elzeviro Un saggio di Morin (Cortina)
Il percorso circolare dell’umanità
di Carlo Bordoni


Edgar Nahoum, in arte Edgar Morin, classe 1921, è un intellettuale sorprendente: sociologo, filosofo, epistemologo, nella sua lunga attività ha combinato le scienze umane con la fisica termodinamica, la cosmologia, la teoria dei sistemi. Dopo averci donato quel monumento al sapere che sono i sei volumi del Metodo (1977-2004), ha applicato quel metodo in una serie di piccoli testi. Il più recente, uscito ora da Raffaello Cortina, Conoscenza ignoranza mistero (traduzione di Susanna Lazzeri, pagine 148, e 13) differisce dai precedenti per la struttura comprensiva. È in effetti un distillato del suo pensiero e ne coglie tre aspetti essenziali: la conferma del concetto di complessità, incardinato nella sequenza ordine/disordine/ organizzazione, l’illusione di una conoscenza scientifica dai presupposti razionali e infine un inatteso recupero della spiritualità.
Un Morin inedito, che si insinua nel dibattito sulla fiducia nella scienza, ma anziché indicare un ritorno alla natura, salva la scienza, condannando chi ne fa un uso deviato. «C’è un buco nero — scrive — in seno all’attività e alla mente degli scienziati quando essi sono convinti di disporre delle Tavole della Ragione».
Dietro ogni presunzione si nasconde l’ignoranza. È proprio quando il sapere raggiunge livelli elevati che sorge il dubbio, che si incrina la certezza di una conoscenza assoluta. Anzi, l’unica certezza è data dall’incertezza di ogni sapere: il sapere porta al non-sapere. Infatti le conoscenze si evolvono incessantemente, spesso contraddicendo o modificando quanto sembrava attestato.
C’è bisogno di una nuova fisica, avverte Morin, che superi quella novecentesca della relatività e dei quanti. Ed è singolare che a dirlo sia un sociologo, cogliendo in contropiede gli scienziati.
Ma la sua opera di sintesi, proprio perché all’insegna della complessità, dove non basta conoscere la parte per dominare il tutto — visto che il tutto è maggiore della somma delle parti — non si limita al mondo visibile, determinato dalla trinità scienza/tecnica/economia. Questa volta, con maggiore incisività, rivaluta il mondo interiore: dal rapporto mente/cervello alle emozioni, al mistero che si nasconde nella psiche (conosciamo più dell’universo che del cervello umano), di cui sono ignorate le potenzialità e gli aspetti irrazionali, bollati come superstizioni e credenze.
Le capacità di intuire, prevedere, creare, guarire sono anch’esse proprietà della mente. Lo sciamanismo, che in passato era apprezzato e venerato, assieme a tutte le forme di preveggenza, trance ed estasi che conducono a forme di conoscenza irrazionali, sono espressioni della cultura umana e come tali devono essere riconosciute.
Questo accorpamento «complesso» delle contraddizioni dell’esistenza, dove tutto si compie attraverso la morte (gli individui muoiono affinché sopravviva la specie, che a sua volta non sopravvivrà alla fine dell’universo), trova in Morin un fiero difensore, che sa coniugare l’incommensurabilità del cosmo (con una citazione persino del Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov) e le debolezze umane. Si arrende solo di fronte al mistero della vita, colpito dall’inquietante circolarità della storia umana, che passa attraverso dolorose fasi di affrancamento dall’ignoranza e, una volta raggiunta la luce della ragione, la rimette in dubbio, recuperando l’irrazionale. Il fascino delle origini, del dissolvimento nella totalità e nell’incoscienza sono sempre là, dietro l’angolo, a dimostrare che nulla nell’uomo è cambiato.