Corriere 21.3.18
Sanno tutto delle nostre vite Adesso tocca anche a noi aprire gli occhi
di Beppe Severgnini
Siamo
ingenui, incoscienti, impotenti o incapaci? Probabilmente, tutt’e
quattro le cose. Non si spiega, altrimenti, quello che abbiamo lasciato
fare ai giganti del web: prendere i nostri dati, guadagnarci una
montagna di soldi, cederli a chi li paga. O farseli soffiare dagli
stregoni della politica, com’è accaduto a Facebook.
Le conseguenze
sono sotto i nostri occhi: basta aprirli. La conoscenza dei nostri
comportamenti privati — anzi, intimi — non permette soltanto di
suggerirci prodotti, servizi e notizie gradite. Consente anche di
confonderci, spaventarci, aizzarci, condizionare il nostro voto e
cambiare l’esito delle elezioni. Lo ha capito Cambridge Analytica, lo
hanno capito i gestori di Donald Trump, lo ha capito qualcuno in Russia.
Lo ha capito il Congresso Usa, per fortuna. Non lo abbiamo capito noi,
cittadini delle democrazie. Oppure fingiamo di non capirlo, ed è peggio.
Credo
che Zuckerberg & Co abbiano partorito una forza di cui hanno
perso il controllo. Un colosso che possiede un fascino indiscutibile, e
una sua evidente utilità. Peccato che, durante la marcia, rischi di
schiacciarci. In poco tempo Facebook è passato dalla rimozione del
problema («Siamo una tech company!») all’ammissione di responsabilità.
(«Dobbiamo creare una comunità globale che vada bene per tutti»). Troppo
tardi: il genio era uscito dalla bottiglia.
E chi ha tolto il tappo? Noi.
Siamo
noi che clicchiamo «Accetta» senza leggere le condizioni, ad ogni
aggiornamento di un’applicazione. Siamo noi che, in cambio di comodità,
offriamo la nostra intimità. Siamo noi che fingiamo di non capire
questo: chi offre la pubblicità mirata di un prodotto (dopo il test di
gravidanza, ecco le offerte di culle e passeggini), può proporre anche
propaganda o diffamazione, con precisione chirurgica. Qualcuno dirà:
qual è il problema? Il problema è che, in questo modo, la democrazia
affonda.
Certo: per due secoli, l’establishment occidentale ha
usato i mezzi di comunicazione a proprio vantaggio. I padroni del vapore
britannici, dopo la Prima Rivoluzione Industriale, controllavano i
giornali; i banchieri e gli industriali americani, dopo la Seconda
Rivoluzione Industriale, pesavano prima sulla radio e poi sulla
televisione. Questa è la Terza Rivoluzione Industriale, basata sul
digitale. Con una differenza: nel XIX e nel XX secolo l’editore di un
giornale di Londra, o il proprietario di una televisione di New York,
avevano nomi e facce.
Ora non più. Le società che possiedono i
nostri dati sanno quasi tutto della nostra esistenza; e noi sappiamo
poco del modo in cui agiscono. Non sono tutti uguali, i nuovi padroni.
C’è chi più distratto, come Facebook; e chi più attento, come Amazon.
C’è chi è più esteso, come Google o Apple; e chi è più specializzato,
come Uber o Skype. Ma tutti hanno a disposizione una mole di dati con
cui possono agevolarci o distruggerci, se volessero. Ma non vogliono!,
dirà qualcuno. E noi dobbiamo rispondere: la nostra vita e le nostre
democrazie possono dipendere dalla buona volontà di uno sconosciuto
consiglio di amministrazione?