Corriere 20.3.18
Profili violati: Facebook crolla
di Massimo Gaggi e Giuseppe Sarcina
Facebook
crolla in Borsa. Il titolo della compagnia di Mark Zuckerberg perde
quasi il 7%. Un contraccolpo legato allo scandalo sui dati rubati.
Cinquantuno milioni di profili di elettori americani sono stati violati
dalla Cambridge Analytica, quando era al servizio della campagna di
Trump. Dura la reazione della Ue: «Il cattivo uso per fini politici dei
dati di utenti Facebook, se confermato, è inaccettabile».
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON
Tutti contro Mark Zuckerberg. Il Parlamento britannico, quello europeo,
il Congresso americano e persino Wall Street che ieri ha fatto
precipitare del 7% circa il titolo Facebook, quotato al Nasdaq.
Il
fondatore del social network si trova ad affrontare la più insidiosa
delle crisi: la caduta verticale di fiducia. Il caso dei 50 milioni di
profili Facebook rubati da Cambridge Analytica e messi al servizio della
campagna elettorale di Donald Trump pone una domanda tanto semplice,
quanto letale, che rimbalza dall’opinione pubblica alla politica agli
ambienti finanziari: Zuckerberg è ancora in grado di controllare la sua
società?
A Washington, Capitol Hill è in agitazione. La senatrice
democratica Amy Klubochar vuole convocare il giovane imprenditore
davanti alla Commissione Affari giudiziari: «Deve spiegare come mai non
si sia accorto che i dati venivano usati per manipolare gli elettori».
La procuratrice generale del Massachusetts, Maura Haley, ha già
annunciato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria sui rapporti tra
Facebook e Cambridge. Dall’altra parte dell’Atlantico, nel Regno Unito,
anche il parlamentare conservatore Damian Collins chiede di sentire
direttamente Zuckerberg: «Non è accettabile che Facebook abbia mandato
dirigenti non in grado di rispondere ai nostri dubbi».
Le
rivelazioni del New York Times e del britannico Observer hanno portato
alla luce una storia inquietante, dal fascino sinistro. Da almeno cinque
anni un team stranamente assortito ha cercato prima di favorire la
campagna per la Brexit, poi la candidatura di Donald Trump alla Casa
Bianca. Nel 2013, racconta il Guardian , Steve Bannon conosce
Christopher Wylie giovane ricercatore canadese, attirato dagli incroci
tra social, psicologia di massa, intelligenza artificiale. Bannon,
all’epoca direttore del sito della Destra alternativa Breitbart , ha un
teorema da dimostrare: la Rete può condizionare i giudizi delle persone,
trasformando anche il «prodotto» più brutto in una scelta di tendenza.
Wylie è in sintonia e fa l’esempio dei sandali «Crocs»: non il massimo
dell’eleganza eppure stravenduti. Ma secondo Channel 4 c’è di più: la
Cambridge ricorre a tangenti, false identità, ex spie e persino alla
prostituzione di giovani ragazze ucraine per stroncare gli avversari.
L’ambito è sempre lo stesso, la politica. La squadra parte con il
sostegno all’offensiva anti europea di Nigel Farage. Subito dopo, con i
soldi del miliardario Robert Mercer, generoso finanziatore dei
repubblicani, la Cambridge Analytica comincia ad ammassare fino a 50
milioni di profili da Facebook. Toccherà a Zuckerberg spiegare come
tutto cio sia stato possibile e, soprattutto, se esiste un modo per
blindare i dati sensibili.
Già nell’ottobre 2107 l’ufficio legale
di Facebook rese noto che circa 126 milioni di americani avevano letto
post aggressivi, che fomentavano divisioni, in qualche caso anche l’odio
sociale. Poi l’inchiesta del Super Procuratore Robert Mueller ha messo
sotto accusa una serie di realtà guidate dal Cremlino.
Ma la
vulnerabilità di Facebook resta un tema irrisolto. «Siamo determinati a
fare il possibile per far fronte a questa minaccia» scriveva in autunno
il legale Colin Stretch, in una nota trasmessa alla Commissione Affari
giudiziari del Senato. Un impegno non più rinviabile.