giovedì 15 marzo 2018

Corriere 15.3.18
Era il grande tessitore della vita politica italiana
Artefice del centrosinistra, più volte capo del governo, dialogava anche con i comunisti
di Antonio Carioti


Quando fu rapito, Aldo Moro era la personalità più influente della politica italiana. Nato nel 1916 a Maglie, in provincia di Lecce, sotto il fascismo era stato presidente degli universitari cattolici e nel 1946 venne eletto alla Costituente, dove si mise subito in luce.
Giurista, ministro della Giustizia e poi della Pubblica istruzione negli anni Cinquanta, nel 1959 era diventato segretario della Dc: in seguito, con grande cautela e altrettanta capacità di convinzione, aveva pilotato lo Scudo crociato verso l’incontro con i socialisti, nonostante l’opposizione di vasti settori imprenditoriali ed ecclesiastici. Quando nel 1963 si era arrivati al primo governo con la partecipazione diretta del Psi, Moro ne aveva assunto la guida.
Presidente del Consiglio fino al 1968, aveva poi pagato il prezzo della sconfitta elettorale subita in quell’anno dalla Dc ed era stato emarginato nel partito, pur ricoprendo per diverso tempo l’incarico di ministro degli Esteri. Dopo l’insuccesso cattolico nel referendum sul divorzio, era tornato a Palazzo Chigi nell’autunno 1974 e poi di fatto aveva assunto anche la leadership della Dc, della quale divenne segretario nel 1975 un esponente a lui legato, Benigno Zaccagnini.
Dopo aver intrattenuto un rapporto positivo con l’opposizione di sinistra già da capo del governo, in seguito alle elezioni del 1976, che videro la Dc recuperare e il Pci raggiungere il suo massimo storico, Moro divenne, da presidente del suo partito, il grande tessitore degli accordi di solidarietà nazionale, che consentirono a Giulio Andreotti di guidare un governo monocolore che si reggeva sulla non sfiducia dei partiti del cosiddetto «arco costituzionale», comunisti compresi. Tale soluzione resse fino alla fine del 1977, quando il Pci reclamò l’ingresso nel governo. Moro ottenne che i comunisti si accontentassero di entrare nella maggioranza e convinse il suo partito ad accettare la svolta.
Era un’intesa precaria, che però probabilmente avrebbe consentito a Moro di essere eletto presidente della Repubblica, se il 16 marzo 1978 non fossero intervenute le Brigate rosse.