Corriere 15.3.18
Il buio oltre via Fani Indagine sui retroscena del sequestro Moro
di Giovanni Bianconi
Domani in edicola con il quotidiano un saggio di Giovanni Bianconi
Come morì il leader democristiano
Il
testo che segue è una sintesi della nuova introduzione scritta da
Giovanni Bianconi per la riedizione del suo libro «Eseguendo la
sentenza», in edicola domani con il «Corriere della Sera» in
collaborazione con Giulio Einaudi editore.
Sono passati
quarant’anni, e più che in altre occasioni le celebrazioni per
l’anniversario del sequestro di Aldo Moro e la strage della sua scorta —
i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, insieme ai poliziotti
Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi — assumono un
significato particolare. Non solo perché è una ricorrenza «a cifra
tonda» e dunque considerata più evocativa, ma per l’atmosfera in cui
cade. È l’inizio di una nuova legislatura, caratterizzata da incognite e
fermenti che, in tutt’altre condizioni, ricorda quella del 1978, quando
il presidente della Democrazia cristiana cercava soluzioni a una
situazione politica ugualmente ingarbugliata. E individuò una difficile
via d’uscita che apriva nuove prospettive.
La «solidarietà
nazionale», che per un biennio aveva tenuto in vita il governo
monocolore Dc grazie all’astensione degli altri partiti, si trasformò in
«unità nazionale», con il voto favorevole di tutti gli alleati,
comunisti compresi. Era la prima volta, dal 1947. Ma la mattina del 16
marzo 1978, quando il Parlamento doveva sancire questa svolta storica,
le Brigate rosse tolsero dalla scena il protagonista principale della
trama, e la via d’uscita si trasformò in un vicolo cieco. Destinato ad
esaurirsi in pochi mesi, dopo l’omicidio di Moro, con una retromarcia
che riportò le maggioranze di governo su percorsi più tradizionali.
Rispetto
ad allora tutto è cambiato, ma la politica italiana è sempre alla
ricerca di qualche via d’uscita. Non ci sono più i partiti di allora e —
soprattutto — non ci sono più le formazioni armate che condizionarono
in maniera decisiva quel lungo tratto di strada, dalle Br in giù; e
prima ancora le sigle neofasciste che con le bombe e le coperture degli
apparati statali avevano alimentato la «strategia della tensione». Ciò
nonostante la violenza politica, seppure con forme e prospettive nemmeno
paragonabili, resta un fantasma sempre pronto ad agitarsi e ad agitare i
contrasti che viviamo. Oggi non solo l’Italia, ma le società
occidentali in genere sono chiamate a misurarsi con altre forme di
terrorismo che quarant’anni fa non erano contemplate, seppure già
covassero sotto i conflitti dell’epoca, in Medio Oriente e non solo.
Rievocare
i drammatici cinquantacinque giorni della primavera 1978 può servire a
conoscere meglio la storia di ieri e quello che siamo diventati, fino ad
oggi. In questo libro pubblicato nel 2008, a trent’anni dai fatti, ho
cercato di ricostruire l’intera vicenda vista da tre angolazioni
differenti, tutte essenziali: i brigatisti che sferrarono l’attacco, con
il loro carico di ideologia e di morte; lo Stato che lo subì, nelle sue
diverse articolazioni: la magistratura e le forze dell’ordine, il
governo, i partiti e la Dc in primo luogo; Moro e la sua famiglia che
inizialmente, in qualità di vittime, erano al fianco delle istituzioni
ma da un certo momento in poi, quando l’ostaggio cominciò a scrivere le
sue lettere dalla «prigione del popolo», divennero a loro volta
antagonisti dello Stato e della «linea della fermezza» ufficialmente
adottata. Ho cercato di scavare tra tanti episodi più o meno conosciuti,
che si sono susseguiti e spesso accavallati in quei due mesi frenetici e
drammatici, per portare alla luce sensazioni personali, stati d’animo,
speranze, delusioni, ragioni e torti dei diversi protagonisti, per
provare a meglio comprendere la storia più grande attraverso piccoli
frammenti.
Dalla prima edizione sono trascorsi altri dieci anni,
ma la sostanza del racconto che si potrebbe fare oggi non è dissimile da
quella di allora. Le ulteriori indagini di magistratura e commissione
parlamentare d’inchiesta non hanno cambiato il quadro complessivo. Il
mosaico che si può intravedere mettendo insieme le tessere dei tre punti
di vista, resta sostanzialmente lo stesso. Con le ombre, i chiaroscuri,
i rilievi e i vuoti che pure ci sono, ma non impediscono di vedere il
disegno che s’è realizzato: un’azione politico-criminale, di stampo
rivoluzionario, lanciata all’assalto di un sistema che per resistere
all’urto ha scelto di sacrificare un suo illustre rappresentante finito
«sotto processo» per conto di tutti gli altri, e condannato a morte.
Schierandosi contro gli assassini che avevano trucidato la scorta e
avrebbero ucciso il prigioniero, ma anche contro un uomo che fino
all’ultimo ha cercato di salvare la propria vita e una certa idea dello
Stato e delle istituzioni. Inutilmente.