Corriere 15.3.18
Rileggendo Karl Popper
L’effetto (stressante) del voto
Gioie (e paure) di una società più aperta
di Antonio Polito
Capire
cosa sta accadendo dopo le elezioni? Ce lo spiega il filosofo Karl
Popper: il collasso della società chiusa e gli errori dei democratici.
«Si
cominciò a sentire l‘effetto stressante della civiltà». Per spiegare
che cosa sta accadendo in Italia, perché tanta gente vuole buttare via
quello che c’è anche se non sa bene quello che verrà, basta leggere Karl
Popper. «La società aperta e i suoi nemici» è un testo del 1944; eppure
contiene, quasi alla lettera, tutto ciò che ci serve per capire.
«Questo
effetto stressante, questo disagio», che i cittadini italiani avvertono
come e più che altrove in Europa, forse altrettanto acutamente che
negli Usa di Trump, «è una conseguenza del collasso della società
chiusa». È «lo spavento della dissoluzione del mondo naturale», in cui
le norme e le convenzioni sociali apparivano in accordo con la natura e
con l’origine della comunità. «Una società chiusa può essere paragonata a
un organismo, è un’unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme
da vincoli semi-biologici: parentela, vita in comune, pericoli comuni».
Nella società chiusa si sapeva chi siamo noi e chi sono loro, e noi non
eravamo costretti a fare troppe scelte razionali e indipendenti (niente
è più stressante che esercitare la libertà di scelta personale, o
essere costretti alla competizione con chi non è unito a noi dagli
stessi «vincoli spirituali, biologici e fisici»). Un tempo a scegliere
per me ci pensava l’azienda, dove entravo a 18 anni e ne uscivo a 60 con
la pensione; a proteggermi ci pensava il mio sindacato o il mio
deputato; la televisione mi spiegava tutto; e per strada erano tutti
uguali a me.
L’Eden intaccato
E poi, che cosa è successo in
questo Eden? «Forse la causa più potente della dissoluzione della
società chiusa fu lo sviluppo delle comunicazioni marittime e del
commercio», scriveva Popper prendendo ad esempio Atene, dove ebbe
origine la società aperta, e con essa l’individualismo e la democrazia. E
infatti la «destra» ateniese considerava il «commercialismo monetario» e
la «politica navale» della città come il suo peggior nemico. Di nuovo
oggi il «pericolo» arriva via mare, con le merci e gli immigrati «che
rubano lavoro agli italiani»; e con l’euro, la moneta dei commerci. Di
nuovo oggi chi teme la società aperta propone protezionismo e chiusura
dei confini per preservare ciò che resta delle rassicurazioni e dei
conforti di una società chiusa .
Il bivio
È evidente che,
proseguendo nella metafora, Cinquestelle e Lega sono le forze politiche
che più hanno raccolto il voto delle vittime di quell’”effetto
stressante”. Ma si può da questo dedurre che Popper, grande fautore
della società aperta, avrebbe votato per il Pd o per Forza Italia il 4
marzo? Un attimo, Popper va letto fino in fondo. «Una società aperta»,
scrive infatti, «può diventare gradualmente quella che amo definire una
società astratta o depersonalizzata, una società nella quale gli uomini
non si incontrano mai faccia a faccia, nella quale tutte le attività
sono svolte da individui completamente isolati che comunicano tra loro
per mezzo di lettere dattiloscritte e di telegrammi e che vanno in giro
in automobili chiuse (la fecondazione artificiale consentirebbe anche la
riproduzione senza la componente personale)». Va segnalato che Popper
scrive prima del boom dell’auto, prima dell’informatica e del computer,
prima dei social, prima della provetta. Ma ci aveva visto giusto. Le
forze che hanno perso le elezioni sono apparse come portatrici della
corruzione di un ideale: non più la «società aperta», ma la «società
astratta». La foto che ritrae l’intera direzione Pd che invece di
ascoltare la relazione di Martina sta china sullo smartphone, e la
giustificazione addotta dall’onorevole Fiano, «siamo multitasking»,
dicono più di ogni altra cosa quanto il Pd abbia incarnato agli occhi
del popolo la modernità depersonalizzata, fondata sull’individualismo e
sulla retorica delle «opportunità», che agli esclusi suona come una
provocazione.
La retorica di Pericle
Anche la «società
aperta» — che, sia chiaro, resta il sistema migliore per il benessere
dei popoli, e che dobbiamo preservare a ogni costo anche da chi vince di
volta in volta le elezioni — richiede infatti una fede, seppur
razionale, su cui fondarsi. Ha bisogno della retorica di un Pericle, che
nella sua celebe orazione si sforzava di legare «l’individualismo con
l’altruismo», perché «ci è stato insegnato di non dimenticare mai che
dobbiamo proteggere gli umili». Invece i democratici dei nostri tempi
hanno spesso finito per prendere in prestito idee e senso comune degli
antichi movimenti oligarchici: come il mito del «filosofo-re», della
competenza al governo, da opporre ai «nuovi barbari» che vogliono
governare senza sapere, mito che in democrazia di solito il popolo
spazza via.
Bisogna insomma che i fautori della «società aperta»
diventino più consapevoli della tensione che essa crea, «dovuta al fatto
che tutti noi diventiamo sempre più dolorosamente consapevoli delle
gravi imperfezioni della nostra vita, sia personale che istituzionale,
della sofferenza evitabile… della necessità di portare la croce di
essere umano». Rileggendo Popper forse potrebbero aiutarsi a capire
perché, questa volta, hanno perso le elezioni.